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Tratto da: Adista Documenti n° 29 del 02/08/2014

I cittadini e le cittadine d’Europa, in grande maggioranza, assumono l’idea che l’attuale società del consumo possa “migliorare” in futuro (e che dovrebbe farlo). Intanto, buona parte degli abitanti del pianeta sperano di avvicinarsi ai nostri livelli di benessere materiale. Tuttavia, questo livello di produzione e di consumo è stato raggiunto al prezzo dell’esaurimento delle risorse naturali ed energetiche e della rottura degli equilibri ecologici della Terra.

Nulla di questo è nuovo. I centri di ricerca e gli studi scientifici più lucidi ci mandano fondati segnali di allarme dagli inizi degli anni Settanta: mantenendosi inalterate le attuali tendenze di crescita (nella sfera economica, in quella demografica, nell’uso delle risorse, nelle attività contaminanti e nell’incremento delle disuguaglianze), il risultato più probabile, per il XXI secolo, è quello di un collasso di civiltà.

Oggi non si contano le notizie che indicano come la via della crescita sia ormai un genocidio al rallentatore. Il calo di disponibilità di energia a basso costo, gli scenari catastrofici del cambiamento climatico e le tensioni geopolitiche legate al controllo delle risorse mostrano che le tendenze di un tempo verso il progresso stanno venendo meno.

Di fronte a tale sfida, non bastano i mantra cosmetici dello sviluppo sostenibile, né la mera opzione per tecnologie ecoefficienti, né una presunta “economia verde” che occulta la mercificazione generalizzata di beni naturali e di servizi ecosistemici. Le soluzioni tecnologiche, tanto per la crisi ambientale come per quella energetica, sono insufficienti. La crisi ecologica, peraltro, non è un fattore parziale, ma un tema che determina tutti gli aspetti della società: alimentazione, trasporto, industria, urbanizzazione, conflitti bellici… Si tratta, in definitiva, della base della nostra economia e delle nostre vite.

Siamo intrappolati nella dinamica perversa di una civiltà che, se non cresce, non funziona, e, se cresce, distrugge le basi naturali che la rendono possibile. La nostra cultura, tecnolatrica e mercatolatrica, dimentica il fatto che siamo, alla radice, dipendenti dagli ecosistemi e interdipendenti.

La società produttivistica e consumista non può essere sostenuta dal pianeta. Dobbiamo costruire una nuova civiltà in grado di assicurare una vita degna a un’enorme popolazione umana (oggi più di 7.200 milioni di persone), ancora in crescita, che abita un mondo di risorse in calo. A tal fine, saranno necessari cambiamenti radicali nei modi di vita, nelle forme di produzione, nel disegno delle città e nell’organizzazione territoriale e soprattutto nei valori che guidano tutto questo. Abbiamo bisogno di una società che abbia come obiettivo quello di recuperare l’equilibrio con la biosfera, e di utilizzare la ricerca, la tecnologia, la cultura, l’economia e la politica per avanzare verso questo scopo. Ci sarà bisogno per questo di tutta l’immaginazione politica, la generosità morale e la creatività tecnica che riusciremo a mettere in campo.

Ma questa Grande Trasformazione si scontra con due ostacoli immani: l’inerzia del modo di vivere capitalista e gli interessi dei gruppi privilegiati. Per evitare il caos e la barbarie verso cui oggi ci stiamo dirigendo, c’è bisogno di una profonda rottura politica con l’attuale sistema egemonico, e di un’economia che abbia come fine la soddisfazione di necessità sociali all’interno dei limiti che impone la biosfera, anziché l’incremento del profitto privato.

Per fortuna, sempre più persone stanno reagendo ai tentativi delle élite di far pagare loro i piatti rotti. Oggi, in Spagna, il risveglio, in termini di dignità e di democrazia, rappresentato, a partire dalla primavera del 2011, dal 15M (il movimento degli Indignados che il 15 maggio 2011 ha dato vita a una mobilitazione di protesta pacifica contro il governo, ndt) sta generando un processo costituente che apre nuove vie ad altre forme di organizzazione sociale.

Tuttavia, è fondamentale che i progetti alternativi prendano coscienza delle implicazioni che presuppongono i limiti della crescita ed elaborino proposte di cambiamento molto più audaci. La crisi del regime e la crisi economica si potranno superare solo se, allo stesso tempo, si supererà la crisi ecologica. In questo senso, non bastano politiche che tornino alle ricette del capitalismo keynesiano. Queste politiche hanno determinato, nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, un ciclo di espansione che ci ha condotto ai bordi dei limiti del pianeta. Un nuovo ciclo di espansione non è praticabile: non c’è base materiale, né spazio ecologico e risorse naturali che possano sostenerlo.

Il XXI secolo sarà il più decisivo della storia dell’umanità. Comporterà una grande prova per tutte le culture e le società, e per la specie nel suo insieme. Una prova che deciderà della continuità della nostra esistenza sulla Terra e della possibilità di chiamare “umana” la vita che saremo capaci di organizzare dopo. Abbiamo dinanzi a noi la sfida di una trasformazione di portata analoga a quella di grandi avvenimenti storici come la rivoluzione neolitica o la rivoluzione industriale.

Attenzione: la finestra di opportunità si sta richiudendo. È vero che vi sono molti movimenti di resistenza intorno al mondo a favore della giustizia ambientale (l’organizzazione Global Witness ha registrato quasi mille ambientalisti morti solo negli ultimi dieci anni nelle lotte contro progetti minerari o petroliferi e in difesa delle terre e dell’acqua). Ma abbiamo al massimo un lustro per creare un dibattito ampio e trasversale sui limiti della crescita e per costruire democraticamente alternative ecologiche ed energetiche che siano al tempo stesso rigorose e praticabili. Dovremmo essere in grado di conquistare grandi maggioranze alla causa del cambiamento del modello economico, energetico, sociale e culturale. Oltre a combattere le ingiustizie provocate dall’esercizio della dominazione e dell’accumulazione di ricchezza, dobbiamo parlare di un modello che assuma la realtà, faccia la pace con la natura e renda possibile la vita buona all’interno dei limiti ecologici della Terra.

Una civiltà muore e dobbiamo costruirne una nuova. L’eventuale decisione di non far nulla - o di fare troppo poco - ci condurrebbe direttamente al collasso sociale, economico ed ecologico. Ma, se cominciamo oggi, possiamo ancora essere i/le protagonisti/e di una società solidale, democratica e in pace con il pianeta.

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