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1914-1918: «Guerra alla guerra»

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 33 del 27/09/2014

«Nie wieder Krieg!», «Mai più la guerra» urlavano i soldati tedeschi sopravvissuti all'inutile strage della Prima guerra mondiale, la più lurida di tutte le guerre. Erano proprio loro, i militari reduci dai fronti di un'Europa accecata dall'odio – male equipaggiati, ricolmi di patriottismo, formati al «Discorso alla nazione» di Johann Gottlieb Fichte – ad aver gridato al mondo per primi l'insensatezza di morire così, sui campi di battaglia, cadendo come foglie.

Berlino assiste ammutolita allo spettacolo di questi giovani devastati dal conflitto. Nel 1919 nasce un movimento pacifista radicale con il motto Krieg dem Kriege, guerra alla guerra. Il Friedensbund der Kriegsteilnehmer (La lega per la pace dei reduci della guerra) celebra il suo anti-militarismo: «La voce di milioni di combattenti – si legge nel manifesto – le loro rivendicazioni sociali e ideali devono esser prese in considerazione (…). Veterani, compagni d'armi, venite a noi come alleati contro la tirannia e l'ingiustizia popolare, contro lo sciovinismo e la politica che ha giocato con il sangue innocente di milioni di figli, morti ammazzati sui campi di battaglia. Urlate  insieme a noi: Guerra alla guerra!».

Si colloca idealmente in questo filone il convegno internazionale “Mai più la guerra / Nie wieder Krieg” organizzato dal Centro per la pace del Comune di Bolzano insieme al Movimento nonviolento e a Pax Christi Italia, il 3-5 ottobre sull'altopiano del Renon dove è sepolto l'obiettore di coscienza al nazismo, padre di famiglia e presidente della sezione giovani dell'Azione cattolica di Bolzano, Josef Mayr-Nusser, di cui il 4 ottobre ricorrono i 70 anni dal rifiuto di giuramento a Hitler.

Lo scopo del convegno è di indagare la follia della guerra, le derive del totalitarismo e le pulsioni aggressive, così come le strategie geopolitiche che hanno segnato la storia del ‘900 fino ai giorni nostri. Allo stesso tempo, si offre come occasione per riflettere sul cammino del movimento nonviolento e sulla resistenza disarmata. Molti i relatori, alcuni noti nel panorama della cultura della pace italiana come Alex Zanotelli, Enrico Peyretti, Luigi Zoja, Ercole Ongaro, Francesco Vignarca, Renato Sacco, Mao Valpiana, altri invece importanti nel pacifismo tedesco come Ekkehart Krippendorff, uno dei maestri delle scienze per la pace, o Jürgen Grässlin, autore di un libro nero sul mercato delle armi, che sta facendo tremare i palazzi della politica tedesca e non fa dormire i piazzisti d'armi, che stanno tentando di tappare la bocca al pacifista di Friburgo, o referenti della legalità internazionale come il vicepresidente della Corte penale internazionale de L'Aia Cuno Tarfusser. 

Il 4 ottobre ci sarà la prima del film del regista toscano Massimo Tarducci su Franz Thaler (che sarà presente), l'artigiano sudtirolese che si oppose al nazismo scappando per sei mesi sui monti di Sarentino, la sua vallata. Tradito da un parente dovette consegnarsi ai nazisti che lo deportarono a Dachau. Franz riuscì a sopravvivere e ancora oggi rappresenta la storia commovente e terribile dei sudtirolesi che dissero no a Hitler. E lo stesso giorno, la prima dello spettacolo teatrale di Elisa Salvadori sui tre leader del movimento pacifista di Berlino del primo dopoguerra: lo scrittore Kurt Tucholsky, la pittrice Käthe Kollwitz e l'anarchico Ernst Friedrich, ideatore dell'Antikriegs-Museum (Museo contro la guerra). Pochi mesi dopo la fine della Prima guerra mondiale lo spirito pacifista e antimilitarista attecchisce a Berlino più che altrove. Scrittori, artisti, filosofi fanno della pace un grande motivo di riscatto culturale. Il più noto degli scrittori di quei tempi è senz'altro Kurt Tucholsky, che nel 1912 aveva dato alle stampa il bestseller Il castello di Rheinsberg. Tucholsky era legato a scrittori come Franz Kafka, Franz Werfel, Otto Baum. Già nel 1918 inizia la sua militanza nel movimento pacifista e nel 1920 esce il suo Militaria, durissimo pamphlet contro la guerra, un atto d'accusa contro tutto il sistema militare e contro ogni tipo di apparato bellico. Tucholsky entra in contatto con i leader dei movimenti per la pace della sua città come la pittrice Käthe Kollwitz o il socialista-anarchico Ernst Friederich che si inventò il suo Museo contro la guerra – oggi questo piccolo museo di Berlino è diretto dal nipote di Friedrich, Tommy Spree – per sensibilizzare l'opinione pubblica al non-senso antropologico di uccidere ed essere uccisi. Nel 1924 Friedrich esce con un libro di foto terrificanti dal titolo Krieg dem Kriege pubblicato in Italia con il titolo Guerra alla guerra: 1914-18: scene di un orrore quotidiano (Mondadori). Si tratta di un libro che raccoglie foto raccapriccianti di uomini mutilati, deformati, dai volti sconvolti e tumefatti, accompagnate da pensieri dell'autore. Nella prefazione all'edizione italiana Gino Strada scrive: «Friedrich ben sa che, in quegli anni, il posto degli obiettori di coscienza che si rifiutano di diventare assassini è la forca. Sa che non c’è spazio, al di fuori del “o con noi o contro di noi”. Ma continuerà la sua “guerra alla guerra”: arrestato dai nazisti, riuscirà a fuggire in Belgio, e poi ancora in Francia, senza mai smettere di lottare. Anche quando la temuta guerra “che sputerà gas” sconvolgerà l’Europa e il mondo, e l’umanità si ritroverà, infine, nel baratro di Auschwitz e di Hiroshima».

Ma fu con la scultrice e pittrice Käthe Kollwitz che il movimento Nie wieder Krieg assumerà rilievo internazionale. Il suo dipinto con la donna spettinata, sconvolta, che urla al mondo il ripudio della guerra mentre tiene teso il braccio destro in alto e quello sinistro sul cuore, diventa l'emblema del movimento. Quella donna imbestialita è la stessa Kollwitz che piange la morte di Peter, il figlio minore, ucciso in un conflitto a fuoco, nell'ottobre del 1914, su un campo di battaglia. Da allora Kollwitz entra in uno stato depressivo totale. Non dipinge più, non scrive più, quasi non pronuncia nemmeno più una sillaba. I bozzetti vengono prima dipinti e poi dati alle fiamme. Tenta di dare forma ad un memoriale scultoreo in ricordo di Peter, I genitori addolorati, ma è un impegno durissimo e dolorosissimo che riuscirà a portare a termine solo nel 1924 quando esce dall'oblio e inizia la sua lotta contro ogni ingiustizia e prevaricazione di potere. Quasi tutte le opere nascondono un messaggio anti-militarista e socialista. I suoi diari sono pieni di annotazioni sulla pittura come momento espressivo, che non può essere alienante, ma fedele agli ideali di giustizia e di pace: «Io voglio che la mia arte serva a uno scopo. Voglio agire sul mio tempo». E mentre nel cuore del conflitto lei, madre premurosa e rispettosa degli ideali patriottici, aveva sostenuto i suoi figli nel difficile atto dell'arruolamento, nel cuore della Seconda guerra mondiale, della cui repressione nazista fu vittima, scriverà così: «Ancora una volta dunque ho disegnato la stessa cosa: dei ragazzini berlinesi, che scalpitano simili a giovani cavalli impazienti di uscire all'aperto. Ma vengono trattenuti da una donna. La donna tiene i ragazzini accanto a sé sotto il mantello, decisa e dominatrice li cinge con le sue braccia e le sue mani. “Le sementi non devono essere macinate” - questa rivendicazione, come “Mai più la guerra”, non è un desiderio nostalgico ma un ordine. Rivendicazione». (dicembre 1941).

*Giornalista e scrittore, coordinatore Centro per la Pace del Comune di Bolzano

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