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Diritto al paesaggio

Tratto da: Adista Documenti n° 36 del 18/10/2014

L’ESSERE UMANO E IL PAESAGGIO

“Paesaggio” è l’equilibrio fra natura e cultura. Fra spiagge, monti, colline, pianure come furono un tempo e come sono, popolati di città, di villaggi, di cascine. Ogni paesaggio ha la sua storia: fatta di creatività e di distruzioni (guerre, terremoti, barbarie); di meraviglie e di errori. Questa diversità rispecchia quel che siamo (come il volto di ciascuno è “lo specchio dell’anima”): perciò ognuno ha il paesaggio che si merita. La tutela del paesaggio è un diritto-dovere di ogni cittadino. Il paradosso a cui assistiamo è che insieme alla crescita della consapevolezza dei cittadini cresce senza freni la speculazione edilizia, il disastro ambientale, l’asservimento di città, campagne, foreste, mari e territori alla speculazione economica. Il futuro non può fondarsi solo sul mattone o sul denaro. Il paesaggio è un bene comune che va difeso da ciascuno di noi, in prima persona.

Ma cosa è il paesaggio? La Convenzione Europea del Paesaggio, un documento adottato dal Consiglio d’Europa, lo definisce: «una zona o territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni» (Cap. 1, art. 1a). Questo documento, ufficialmente sottoscritto a Firenze nel luglio del 2000 dai 27 Stati della Comunità Europea ma ratificato ad oggi solo da 10, tra cui l’Italia, non vede una sua grande applicazione, come spesso succede a leggi e accordi internazionali. Ma la Costituzione italiana (art. 9) e l’insieme delle nostre leggi, se volessimo applicarle, sono, per la difesa del paesaggio, un baluardo molto più efficace della Convenzione europea.

Il paesaggio lo creiamo noi, non è una semplice veduta, non è solo un fatto estetico e romantico ma è il luogo in cui viviamo. È necessario de-esteticizzare il paesaggio per comprenderne la vera natura. Perciò è necessario lottare contro il consumo del territorio che favorisce la speculazione: dagli anni ‘50 del XX secolo ad oggi, l’incremento dell’attività edilizia in Italia si aggira su valori vicini al 500% e ci sono circa 2 milioni di appartamenti posti in vendita, non abitati e non ancora comprati. Non ci sono incentivi per il riuso di strutture già esistenti e il degrado istituzionale regna sovrano anche nel settore delle energie rinnovabili: se è vero che siamo i primi per quantità di incentivi volti alla costruzione di impianti fotovoltaici e parchi eolici, è anche vero che siamo gli ultimi in materia di investimenti sulla ricerca per lo studio dell’impatto ambientale e dello smaltimento di tali strutture. Evidentemente il 99% della popolazione si ciba degli errori, delle omissioni e delle menzogne che l’1% ci offre quotidianamente su un piatto d’argento. Questo è vero in Italia ma anche in altri Paesi. Nei vari continenti, con situazioni diverse, assistiamo ad un “progresso” economico, tecnologico, industriale e anche turistico che distrugge foreste, inquina mari e territori, trasforma in modo sconsiderato e non partecipativo spazi urbani e rurali, compromette o non considera importante l’uso, la preservazione o il recupero di beni archeologici e patrimoni culturali.


PAESAGGIO, TERRITORIO O AMBIENTE?

(...). Emerge il divorzio profondo che esiste in molti Paesi tra un sistema di leggi imposte da una classe politica sempre più lontana dal popolo e la comunità di cittadini che in teoria dovrebbe rappresentare. È preoccupante l’inversione dei valori: il bene comune è sempre più messo all’angolo a favore, da una parte, di una caotica ripartizione di competenze e poteri nelle istituzioni pubbliche e, dall’altra, di un sostegno implicito o esplicito alle lobby economiche che lucrano sullo sfruttamento di territori, risorse, paesaggi naturali, artistici o culturali.

Non si tratta di un discorso astratto o moralistico. Se si tratta ad esempio di voler distruggere una estesa pineta lungo un tratto di costa italiana chi potrà prendere la decisione e fornire i permessi necessari? Il Comune del luogo? Lo Stato? La Regione? In Italia la normativa è così complicata che spesso occorre rivolgersi alla Corte Costituzionale. Ma è necessario porre una domanda più radicale: esiste un “territorio” senza paesaggio ed ecosistema ambientale? Esiste un “ecosistema ambientale” senza territorio e senza paesaggio? Esiste un “paesaggio” senza territorio o ecosistema ambientale? Una riconversione e una saggia semplificazione delle normative vigenti che rendano i tre termini dimensioni ineludibili della stessa realtà è ogni giorno tanto difficile quanto necessaria.

Credo che in futuro la conservazione e la tutela del paesaggio si giochi nelle città, nei luoghi abitati dagli esseri umani, nella loro lotta per l’ambiente, il territorio, il patrimonio artistico e culturale. In effetti le opzioni sono due: o il nostro patrimonio culturale nel suo insieme, nell’intreccio vivente di città e paesaggi, torna ad essere luogo dell’autocoscienza del cittadino e centro generatore di energie per la polis, o è condannato a morire.


INDIGNAZIONE E AZIONE COMUNE

La responsabilità etica e professionale degli esperti dell’arte e dell’ambiente, dell’urbanistica o della vita sociale e culturale così come quella degli amministratori della cosa pubblica è capire il pericolo e lavorare per sconfiggerlo. La responsabilità di ogni cittadino è vedere, conoscere, indignarsi, mettersi in rete, agire insieme. Alla voce di alcuni intellettuali o alla protesta di alcune popolazioni occorre unire un ampio movimento di opinioni. Un’opinione corretta, informata, che misuri e aiuti a misurare i rischi che corrono i paesaggi nei quali viviamo o le deturpazioni che hanno subìto e rischiano di subire.

Indignarsi per la continua offesa del diritto al paesaggio, all’ambiente nel quale uno vive, al territorio abitato da secoli vuol dire tutelare un diritto antico, un diritto vitale per l’oggi e un diritto delle future generazioni. L’indignazione rispetto agli orrori intorno a noi è il primo passo perché si possano immaginare percorsi alternativi. Seneca diceva che sa indignarsi solo chi è capace di sperare. Serve questa speranza per poter andare avanti, per pensare al futuro, alla nostra salute, all’ambiente in cui viviamo. Abbiamo diritto alla salute. Abbiamo diritto alla salute e dobbiamo difendere l’ambiente, dunque anche il nostro paesaggio. Inquinamento ambientale e inquinamento edilizio sono due facce della stessa medaglia. Spesso coloro che interrano nelle campagne le scorie avvelenate, che ci uccidono e ci fanno ammalare, sono gli stessi che costruiscono condomini, magari sopra le stesse scorie. Salute, ambiente, territorio, paesaggio, cittadinanza sono valori e diritti strettamente correlati tra loro. Se si riesce a fare passare questo messaggio e farlo capire ai cittadini, le sensibilità da questo punto di vista, che già sono in grande crescita, potrebbero crescere ancor più velocemente. Una quercia che cade fa molto rumore, ma una grande foresta cresce in silenzio. Io penso che la grande foresta dell’ambientalismo stia crescendo, anche se in silenzio.

Nel 1574 il papa Gregorio XIII scrisse la Costituzione Apostolica Quae publice utilia et decora. Nel testo si proclamava sin dalle prime righe l’assoluta priorità del bene e del decoro pubblico sulle cupiditates e sui commoda (interessi, profitti) dei privati, sottoponendo a rigoroso controllo l’attività edilizia di tutti i privati, compresi gli ecclesiastici. Rifacendosi al diritto romano, stabiliva l’assoluta priorità del bene comune. Le leggi che vengono emanate ancora oggi in Cina e India partono da lì. D’altronde, non è un papa qualunque Gregorio XIII, ma colui che introdusse il calendario che oggi è usato in tutto il mondo. Nell’Italia del dopoguerra un giovane Aldo Moro, giurista democristiano, insieme al vecchio latinista comunista Concetto Marchesi, ottenne l’inserimento della difesa del paesaggio nella Costituzione (art. 9). Dossetti e La Pira insieme a Moro si distinsero per i ripetuti interventi in Parlamento sull’importanza del bene comune, richiamato per ragioni etiche, politiche e giuridiche insieme. Credo che noi italiani non possiamo dimenticare questa tradizione, che è stata uno dei momenti più alti della vita politica del nostro Paese, e ogni nazione può e deve far memoria di quanto nella propria storia già si è fatto e legiferato a favore del comune diritto al paesaggio. È il primo passo per fare, come è necessario, molto di più. 

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