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Una Costituzione anti-crisi

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 39 del 08/11/2014

“La Costituzione ci aiuta ad affrontare la crisi?”. Problema mal posto, per alcuni, domanda senza risposte, per altri. Invece il convegno su “Costituzione ed Economia”, del prossimo 29 novembre a Milano (v. box), organizzato dalla rete C3dem (Costituzione Concilio, Cittadinanza, per una rete tra cattolici e democratici) ha proprio un obiettivo chiaro: resistere al pessimismo di chi non vede altre soluzioni che non siano la delega in bianco a chi può fare qualcosa (qualsiasi cosa, pur di dare lavoro…) o la totale sottomissione al pensiero unico di addetti ai lavori o esperti. La rete di associazioni di C3dem prova ad alimentare il confronto, la discussione, a produrre idee e pensiero diverso (anche diversi pensieri), a non assuefarsi al diktat che impone che dalla crisi economica si può uscire solo attraverso la triade austerità, produttività, riforme. Partendo proprio dalla Carta fondamentale della nostra democrazia.

L’idea è semplice: nella Costituzione c’è il nocciolo di un progetto politico vitale, che potrebbe reagire con grande efficacia di fronte all’attuale crisi dell’economia e della convivenza sociale. Quindi sorge la domanda: la tradizione europea dello Stato sociale e l’esigente spinta ispiratrice della prima parte della Costituzione repubblicana ci possono aiutare ad affrontare questa sfida? Sfida difficile ma da declinare tutta al futuro, senza cedere alla nostalgia.

La Costituzione (abbiamo scritto nel testo base che ha aperto sul portale il dibattito, www.c3dem.it) non è, infatti, solo un meccanismo di regole per la convivenza. Delinea nella sua prima parte un orizzonte di valori che sta di fronte a qualsiasi politica come un’ispirazione e un richiamo. Per noi questo richiamo non è superato, non è ininfluente, non è generico, non è pericolosamente sorpassato perché «di ispirazione sovietica» (come qualcuno ha detto non troppo tempo fa). Il nocciolo del progetto costituzionale nacque in un momento piuttosto lontano da oggi: il dopoguerra, quando si doveva uscire dalle macerie non solo del conflitto, ma della «grande crisi» del capitalismo degli anni ‘30. Per far questo, i padri costituenti delinearono un modello avanzato di Stato sociale, che non è né Stato minimo né Stato onnipotente e intrusivo. E che apriva una strada non così peregrina, dato che il continente europeo nella sua parte più avanzata ha percorso faticosamente nei sessant’anni successivi proprio l’itinerario tracciato con quelle parole: con alti e bassi, certamente, ma con un’efficacia ancora a nostro parere indubbia.

Il «cuore ideologico» della Costituzione sta, come è noto, nell’intreccio tra l’art. 2 e l’art. 3. Cioè l’affermazione della priorità dei diritti individuali e comunitari rispetto allo Stato (con i rispettivi doveri): quindi una piattaforma insuperabilmente pluralistica ed escludente ogni «Stato etico» e padrone. Bilanciata, però, da un altrettanto radicale principio di solidarietà «politica, economica e sociale», non affidata soltanto alla buona volontà dei singoli, ma espresso nella formula programmatica con cui lo Stato si incarica di un compito di superamento dell'uguaglianza formale verso un modello di democrazia sostanziale (la «rimozione degli ostacoli» alla piena cittadinanza). Solo in questo nesso inscindibile prende pieno valore la fondazione della Repubblica sul lavoro (art. 1) e discendono in chiave logica e politica il diritto/dovere del lavoro (art. 4), il diritto alla giusta retribuzione (art. 36), la tutela delle inabilità (art. 38), la libertà sindacale e di sciopero (artt. 39-40), la libertà di iniziativa economica connessa al possibile coordinamento ai fini sociali (art. 41), la promozione della cooperazione (art. 45), il favore verso la partecipazione dei lavoratori nelle imprese (art. 46), la progressività fiscale (art. 53). E sono solo alcuni spunti che potrebbero senz’altro essere arricchiti.

La domanda per il futuro è quindi semplice: questo insieme di princìpi sono ormai invecchiati, sterili, superati dai fatti, condannati a un ineluttabile oblio? Oppure costituiscono ancora un punto di riferimento solido, non perché delineino necessariamente specifiche politiche, ma perché impongono di orientare in qualche misura qualsiasi politica e quindi tutte le scelte della collettività in una direzione specifica? Certo la nostra risposta a questa domanda non implica una visione “totemica” della Costituzione, come se avesse già dentro di sé tutte le risposte, ma esclude anche una visione riduttiva che limiti qualsiasi pregnanza dei principi rispetto all’analisi e all’azione.

Quanto questo orizzonte è potenzialmente incisivo rispetto all’attuale situazione di crisi economica e sociale? È chiaro che la risposta a questa domanda non può prescindere da un’analisi su quello che sta succedendo nel mondo. Se siamo d’accordo che ci troviamo in qualche modo di fronte a una crisi «sistemica» e non contingente, dobbiamo orientare la ricerca culturale e politica in una direzione forte. Consideriamo, infatti, in crisi irreversibile non tanto «il» capitalismo (concetto e realtà troppo sfuggente e proteiforme per dirci qualcosa di utile rispetto all’agenda politica), ma una specifica forma del sistema economico di mercato, nata una trentina d’anni orsono dalla risposta data nei Paesi occidentali alla crisi del fordismo degli anni ‘70: il modello cioè della globalizzazione e della finanziarizzazione dell’economia. È in crisi la forma di economia centrata sul dominio della finanza e della logica finanziaria nel sistema produttivo, che ha portato con sé fenomeni come la riduzione ad oltranza del lavoro, il ridimensionamento di qualsiasi forma sociale ed economica collettiva, la delocalizzazione produttiva nei Paesi emergenti, la riduzione del valore aziendale alla dimensione immediata del rendimento borsistico, la riduzione dei poteri di controllo e indirizzo statuali, il dominio dell’utilitarismo, la mobilità estrema del capitale connessa alla difficoltà imposta al movimento degli esseri umani. Da questa crisi occorre ripartire e porsi la domanda su come ricostruire un’economia che crei benessere e qualità della vita. 

Con il convegno si avvia un percorso di questo tipo: il dibattito a partire dal punto centrale che proverà a capire come e perché la politica ha ceduto il passo all’economia e alla finanza, abbandonando capacità e strategie per orientarne effetti e ricadute; poi tre approfondimenti (diritto al lavoro, diritto alla giusta retribuzione, diritti sociali di cittadinanza); infine la tavola rotonda su “Riformare il capitalismo: in che direzione?”. Ma il lavoro non finisce in questa sede. Nelle settimane che seguiranno si tenterà di mettere insieme un documento aperto alla riflessione e al dibattito collettivo anche attraverso il portale. Ulteriori contributi e commenti faranno emergere un testo/proposta che la rete delle associazioni offrirà alla fine a politici, addetti ai lavori, esperti, cittadini. La logica cooperativistica “ha preso” anche noi: e con l’umiltà di chi è consapevole della complessità degli argomenti, proveremo a dire la nostra.

* Coordinatore della rete C3dem

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