
Presentato l’Instrumentum laboris per il Sinodo. Molte conferme, qualche apertura, tanta incertezza
Se all’assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla famiglia in programma per il prossimo ottobre ci sarà qualche apertura, probabilmente questa riguarderà solo la situazione dei divorziati risposati ed eventualmente la loro ammissione, da valutare caso per caso, ai sacramenti. Ma su tutte le altre “questioni sensibili” (convivenze, unioni civili, coppie omosessuali, contraccezione) le possibilità di un qualche aggiornamento del magistero sembrano piuttosto remote, dal momento che i segnali in questa direzione non si trovano nemmeno nell’Instrumentum laboris, presentato questa mattina in Vaticano dal card. Lorenzo Baldisseri (segretario generale del Sinodo), dal card. Péter Erd? (arcivescovo di Esztergom-Budapest, relatore generale dell’assemblea ordinaria del Sinodo) e da mons. Bruno Forte (arcivescovo di Chieti-Vasto, segretario speciale dell’assemblea ordinaria del Sinodo).
Naturalmente tutto resta aperto. L’Instrumentum laboris è la “traccia di lavoro”, non la conclusione del Sinodo. Tuttavia alcune questioni sembrano, apparentemente, già ben definite, quindi pare realisticamente difficile che possa riaprirsi la discussione, sebbene il documento, in alcuni punti, risulti ambiguo, se non contraddittorio. Caratteristiche attese quest’ultime, perché l’Instrumentum laboris è il frutto e la sintesi delle risposte al questionario preparatorio da parte dei fedeli di tutto il mondo (sono arrivate 99 risposte da parte di Sinodi delle Chiese orientali cattoliche, Conferenze episcopali, Dicasteri della Curia romana e Congregazioni religiose, più 359 direttamente da parrocchie, associazioni ecclesiali, gruppi spontanei di fedeli e singoli credenti, precisa Baldisseri), i quali evidentemente non la pensano allo stesso modo. E anche perché, come del resto era già emerso durante l’Assemblea straordinaria di ottobre 2014, ad essere divisi sono gli stessi vescovi.
La situazione: il magistero da una parte, i fedeli dall’altra
La prima parte dell’Instrumentum laboris – che è composto dalla Relazione finale del Sinodo di ottobre 2014 e da una serie di nuovi paragrafi elaborati e aggiunti dopo il nuovo questionario – è la fotografia della situazione esistente, in cui magistero sulla famiglia e comportamenti dei fedeli sono nettamente distanti. «Solo una minoranza vive, sostiene e propone l’insegnamento della Chiesa cattolica sul matrimonio e la famiglia, riconoscendo in esso la bontà del progetto creativo di Dio – si legge nel documento –. I matrimoni, religiosi e non, diminuiscono ed il numero delle separazioni e dei divorzi è in crescita». Si segnala «la paura dei giovani ad assumere impegni definitivi, come quello di costituire una famiglia. Più in generale, si riscontra il diffondersi di un individualismo estremo che mette al centro la soddisfazione di desideri che non portano alla piena realizzazione della persona. Lo sviluppo della società dei consumi ha separato sessualità e procreazione. Anche questa è una della cause della crescente denatalità. In alcuni contesti essa è connessa alla povertà o all’impossibilità di accudire la prole; in altri alla difficoltà di volersi assumere delle responsabilità e alla percezione che i figli potrebbero limitare la libera espansione di sé».
Le cause: contraddizioni culturali e sociali
Le cause di questa situazione, secondo il documento, sono di natura sia culturale («contraddizioni culturali») che sociale («contraddizioni sociali»).
La famiglia «continua ad essere immaginata come il porto sicuro degli affetti più intimi e gratificanti, ma le tensioni indotte da una esasperata cultura individualistica del possesso e del godimento generano al suo interno dinamiche di insofferenza e di aggressività a volte ingovernabili», si legge nell’Instrumentum laboris. Per esempio, «una certa visione del femminismo, che ritiene la maternità un pretesto per lo sfruttamento della donna e un ostacolo alla sua piena realizzazione»; «la crescente tendenza a concepire la generazione di un figlio come uno strumento per l’affermazione di sé, da ottenere con qualsiasi mezzo»; «le teorie secondo le quali l’identità personale e l’intimità affettiva devono affermarsi in una dimensione radicalmente svincolata dalla diversità biologica fra maschio e femmina», ovvero quella che la Chiesa cattolica chiama “teoria del gender”; i tentativi di voler riconoscere ad «una coppia istituita indipendentemente dalla differenza sessuale la stessa titolarità della relazione matrimoniale intrinsecamente legata ai ruoli paterno e materno, definiti a partire dalla biologia della generazione», quindi il riconoscimento dei matrimoni gay.
Ma a minare la famiglia vi sono anche cause di natura socio-politica e socio-economica: guerre, «azzeramento delle risorse», «processi migratori», «politiche economiche sconsiderate», politiche sociali poco attente alla famiglia («accresciuti oneri del mantenimento dei figli», «aggravamento dei compiti sussidiari della cura sociale dei malati e degli anziani») e, ovviamente, la crisi economica generale, cioè «una congiuntura economica sfavorevole, di natura assai ambigua, e il crescente fenomeno dell’accumulo di ricchezza nelle mani di pochi e della distrazione di risorse che dovrebbero essere destinate al progetto familiare» che genera, fra l’altro, «salari insufficienti, disoccupazione, insicurezza economica, mancanza di un lavoro dignitoso e di sicurezza sul posto di lavoro, traffico di persone umane e schiavitù».
Famiglia: fragile e forte
Pur in questa situazione di enorme «fragilità», la famiglia mantiene intatta la propria «forza»: resta «il pilastro fondamentale e irrinunciabile del vivere sociale» e il progetto di Dio per gli essere umani, dal momento che «l’uomo e la donna come coppia sono immagine di Dio». Proprio per questo, prosegue l’Instrumentum laboris, va sostenuta, anche rispetto a quelle situazioni particolari, di cui la famiglia si fa carico: la presenza di persone anziane e malate (talvolta in fase terminale) e di persone disabili, la «vedovanza».
Un’attenzione particolare viene dedicata dal documento al «ruolo delle donne», contraddicendo parzialmente l’iniziale attacco al «femminismo», identificato fra le cause della crisi. «Nei Paesi occidentali – si legge – l’emancipazione femminile richiede un ripensamento dei compiti dei coniugi nella loro reciprocità e nella comune responsabilità verso la vita familiare. Nei Paesi in via di sviluppo, allo sfruttamento e alla violenza esercitati sul corpo delle donne e alla fatica imposta loro anche durante la gravidanza, spesso si aggiungono aborti e sterilizzazioni forzate, nonché le conseguenze estremamente negative di pratiche collegate con la procreazione (ad esempio, affitto dell’utero o mercato dei gameti embrionali). Nei Paesi avanzati, il desiderio del figlio “ad ogni costo” non ha portato a relazioni familiari più felici e solide, ma in molti casi ha aggravato di fatto la diseguaglianza fra donne e uomini. La sterilità della donna rappresenta, secondo i pregiudizi presenti in diverse culture, una condizione socialmente discriminante». La Chiesa potrebbe svolgere una funzione positiva, perché «può contribuire al riconoscimento del ruolo determinante delle donne» con «una maggiore valorizzazione della loro responsabilità nella Chiesa: il loro intervento nei processi decisionali; la loro partecipazione, non solo formale, al governo di alcune istituzioni; il loro coinvolgimento nella formazione dei ministri ordinati». Tuttavia non si capisce, a questo punto, come mai il cammino della Chiesa in questa direzione sia piuttosto rallentato, se non fermo.
Matrimonio naturale, indissolubile e procreativo
L’annuncio e la pastorale della Chiesa per la famiglia devono pertanto muoversi lungo i binari tradizionali: matrimonio «naturale» fra un uomo e una donna, «indissolubile» e «procreativo». Aggiornando il linguaggio perché sia «in grado di raggiungere tutti» (e l’Instrumentum laboris insiste molto sulla formazione dei preti, dei religiosi e delle famiglie stesse, che vanno maggiormente coinvolte e responsabilizzate nei compiti pastorali, anche per contrastare quei «progetti formativi imposti dall’autorità pubblica che presentano contenuti in contrasto con la visione propriamente umana e cristiana», nei confronti dei quali va «affermato con decisione il diritto all’obiezione di coscienza da parte degli educatori»). E partendo «dalle situazioni concrete delle famiglie di oggi», perché sia un annuncio «che dia speranza e che non schiacci».
Un'unica famiglia
L’impressione che si ricava dall’Instrumentum laboris è però che la «pluralità delle situazioni concrete» di cui «gli agenti pastorali dovranno tener conto» vadano ricondotte all’unità già codificata dal magistero.
Convivenze e matrimoni civili, soprattutto se non motivati da «pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale», vanno orientati verso il matrimonio religioso («innestare un cammino di crescita aperto alla possibilità del matrimonio sacramentale», «attraverso la dinamica pastorale delle relazioni personali è possibile dare concretezza ad una sana pedagogia che, animata dalla grazia e in modo rispettoso, favorisca l’apertura graduale delle menti e dei cuori alla pienezza del piano di Dio»).
Le coppie omosessuali, come del resto già avvenuto nella Relazione finale dell’assemblea sinodale di ottobre 2014 (piuttosto arretrata rispetto alla Relatio post disceptationem di metà assemblea), semplicemente non esistono: «Si ribadisce – si legge – che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società. Sarebbe auspicabile che i progetti pastorali diocesani riservassero una specifica attenzione all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale e di queste stesse persone». Nessun cenno alle coppie omosessuali: esistono nella società, non per la Chiesa. Ovviamente l’adozione e l’educazione di un figlio «deve basarsi sulla differenza sessuale, così come la procreazione». Niente adozione per coppie gay, quindi, ma nemmeno per i single.
E ovviamente viene ribadita la condanna per aborto (anzi si sostiene con forza l’obiezione di coscienza) ed eutanasia. «La Chiesa anzitutto afferma il carattere sacro e inviolabile della vita umana e si impegna concretamente a favore di essa. Grazie alle sue istituzioni, offre consulenza alle gestanti, sostiene le ragazze-madri, assiste i bambini abbandonati, è vicina a coloro che hanno sofferto l’aborto. A coloro che operano nelle strutture sanitarie si rammenta l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza. Allo stesso modo, la Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia, ma si prende anche cura degli anziani, protegge le persone con disabilità, assiste i malati terminali, conforta i morenti».
Ambiguità e spiragli: contraccezione e divorziati risposati
Sebbene sia ribadita «la ricchezza di sapienza contenuta nella Humanae Vitae» (l’enciclica di Paolo VI che condannava la contraccezione artificiale), sul tema della contraccezione l’Instrumentum laboris sceglie una formulazione piuttosto ambigua che però non chiude definitivamente il discorso, indicando «due poli da coniugare costantemente. Da una parte, il ruolo della coscienza intesa come voce di Dio che risuona nel cuore umano educato ad ascoltarla; dall’altra, l’indicazione morale oggettiva, che impedisce di considerare la generatività una realtà su cui decidere arbitrariamente, prescindendo dal disegno divino sulla procreazione umana. Quando prevale il riferimento al polo soggettivo, si rischiano facilmente scelte egoistiche; nell’altro caso, la norma morale viene avvertita come un peso insopportabile, non rispondente alle esigenze e alle possibilità della persona. La coniugazione dei due aspetti, vissuta con l’accompagnamento di una guida spirituale competente, potrà aiutare i coniugi a fare scelte pienamente umanizzanti e conformi alla volontà del Signore».
Così come sulla situazione dei divorziati risposati, il documento lascia aperte una serie di strade, alcune in contraddizione fra loro, tutte comunque con un tasso di ambiguità che forse verrà sciolto solo durante l’assemblea di ottobre prossimo. «Si richiede da molte parti che l’attenzione e l’accompagnamento nei confronti dei divorziati risposati civilmente si orientino verso una sempre maggiore loro integrazione nella vita della comunità cristiana, tenendo conto della diversità delle situazioni di partenza», si legge nell’Instrumentum laboris. «Vanno ripensate le forme di esclusione attualmente praticate nel campo liturgico-pastorale» – quindi, fra le altre cose, l’esclusione dai sacramenti –, e «si propone di riflettere sulla opportunità di far cadere queste esclusioni», tenendo sempre presente il principio di «gradualità». La via maestra resta quello dello «snellimento delle procedure» per «il riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale». Ma vi sono anche altre strade. «C’è un comune accordo – si legge – sulla ipotesi di un itinerario di riconciliazione o via penitenziale, sotto l’autorità del vescovo, per i fedeli divorziati risposati civilmente, che si trovano in situazione di convivenza irreversibile […] Si suggerisce un percorso di presa di coscienza del fallimento e delle ferite da esso prodotte, con pentimento, verifica dell’eventuale nullità del matrimonio, impegno alla comunione spirituale e decisione di vivere in continenza. Altri, per via penitenziale intendono un processo di chiarificazione e di nuovo orientamento, dopo il fallimento vissuto, accompagnato da un presbitero a ciò deputato. Questo processo dovrebbe condurre l’interessato a un giudizio onesto sulla propria condizione, in cui anche lo stesso presbitero possa maturare una sua valutazione per poter far uso della potestà di legare e di sciogliere in modo adeguato alla situazione». La prassi delle Chiese ortodosse – benedire una seconda unione dopo un periodo di penitenza – viene richiamata, senza però esprimere alcun giudizio.
«L’integrazione piena dei divorziati risposati è la meta», spiega mons. Bruno Forte durante la conferenza stampa. «In alcune situazioni si potrà arrivare alla comunione? Su questo il Sinodo dovrà rispondere».
* Immagine di Jake Stimpson, tratta dal sito Flickr, licenza, immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite
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