
Se ti cancello l’opposizione
Tratto da: Adista Notizie n° 27 del 23/07/2016
Finale di partita per le richieste di referendum sulla riforma costituzionale. Il 15 luglio sono scaduti i tre mesi previsti dall’art. 138 della Costituzione nell’arco dei quali può essere presentata la richiesta di sottoporre a referendum popolare la legge di riforma della Costituzione che non sia stata approvata da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
A differenza dello Statuto Albertino, la Costituzione della Repubblica italiana è una costituzione “rigida”, cioè prevede per le leggi che vogliono modificarla una procedura più lunga e complicata di quella stabilita per le leggi ordinarie. Tutte le Costituzioni prevedono meccanismi di stabilizzazione che impediscono o rendono più difficoltose le modifiche. La ragione è evidente: la Costituzione realizza la casa comune in cui tutti siamo chiamati ad abitare e definisce i confini dei nostri diritti e dei nostri doveri, impedendo che possano essere manomessi. I governi che si succedono nel tempo hanno l’onere di amministrare la casa comune, tenere gli impianti in efficienza e rinnovarli, cambiare gli infissi, tinteggiare le pareti, far funzionare i servizi (la scuola, la giustizia, la sanità, i trasporti, ecc.), ma non possono demolire la casa o abbatterne le travi portanti.
La Costituzione italiana prevede delle “garanzie costituzionali”; fra queste rientra la procedura, molto più gravosa, per l’approvazione delle leggi di modifica della Costituzione istituita dall’art. 138. Questa procedura prevede che le leggi di riforma della Costituzione, di norma, siano approvate da una maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Questo esclude che la modifica della Costituzione possa essere prerogativa delle contingenti maggioranze parlamentari. Tuttavia, per impedire che la Costituzione resti “ingessata”, è previsto che le riforme costituzionali possano essere approvate anche a maggioranza assoluta. In tal caso non entrano subito in vigore, c’è uno spazio di tempo di tre mesi per chiedere che vengano sottoposte a referendum popolare. Possono chiedere il referendum un quinto dei componenti di ciascuna Camera, o cinque Consigli Regionali, o 500.000 elettori. Quindi se nel Paese non c’è un reale consenso alla revisione della Costituzione, l’ultima parola spetta al popolo attraverso il referendum. È evidente, pertanto, che la richiesta del referendum popolare è una garanzia per le opposizioni, è un’arma che la Costituzione ha messo in mano all’opposizione, a tutti coloro che sono contrari al suo cambiamento per dare loro una chance di opporsi alle scelte decise dalla maggioranza.
Ma cosa succede se la maggioranza, che in realtà è una minoranza, si appropria di tutte le parti della commedia ed impugna l’arma che la Costituzione ha consegnato all’opposizione, trasformando il referendum in un plebiscito a favore del governo?
Questo è proprio quello che è accaduto ed ha trovato il suo finale il 14 luglio, quando il partito di governo ha consegnato in Cassazione 500.000 firme di cittadini per attivare anche la richiesta popolare di referendum, dopo che i suoi deputati ed i suoi senatori avevano già presentato la richiesta di referendum, togliendo senso all’analoga richiesta presentata dai deputati e dai senatori dell’opposizione. È questo un modo astuto per cancellare l’opposizione. Come ha osservato Raniero La Valle: «Se la Costituzione dice: referendum, e il governo risponde: plebiscito, il sovvertimento costituzionale è già avvenuto, non c’è bisogno di aspettare per vedere come funzionerà il nuovo sistema. Quello che entra in funzione è infatti un sistema in cui le minoranze non sono previste. Non si tratta del fatto che siano battute politicamente, ma del fatto che dal potere siano messe fuori del sistema, come non esistenti e non pervenute».
Domenico Gallo è giudice presso la corte di Cassazione
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