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Distinguere tra vigilanti e vigilati. Un motu proprio per sedare le faide vaticane

Distinguere tra vigilanti e vigilati. Un motu proprio per sedare le faide vaticane

Tratto da: Adista Notizie n° 27 del 23/07/2016

38621 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Quis custodiet ipsos custodes, “Chi si occuperà di sorvegliare i sorveglianti stessi?”, si domandava il poeta latino Giovenale nella sua celebre VI satira. Nella gestione finanziaria del Vaticano i controllori sono tradizionalmente stati pochi, mentre grandi i poteri esercitati dai capi dicastero e dagli uomini di Curia, che al tempo stesso erano anche controllori del proprio e dell’altrui operato. Una prassi cui non è sfuggito nemmeno il card. George Pell, nominato da papa Francesco nel febbraio 2014 alla guida della Segretaria per l’Economia, una sorta di super dicastero creato con il compito di vigilare sulle strutture e sulle attività amministrative e finanziarie della Curia romana, delle istituzioni collegate con la Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, ma divenuto rapidamente anche un organismo esecutivo. Fino a che gli enormi poteri concessi dal papa hanno suscitato talmente tanti malumori all’interno delle Mura Vaticane da indurre lo stesso Francesco a ridimensionare il raggio d’azione del dicastero e del suo prefetto.

Così Bergoglio, con un motu proprio dal titolo “I beni temporali”, emanato lo scorso 4 luglio, tenta di chiudere mesi di polemiche, i cui echi sono giunti in maniera preoccupante sui media di mezzo mondo, affermando che ad amministrare il patrimonio della Santa Sede resta solo e soltanto l’Apsa, Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica, e non più la Segreteria dell’Economia. Il motu proprio, infatti, distingue ora «in maniera netta e inequivocabile la gestione diretta del patrimonio dal controllo e vigilanza sull'attività di gestione», restituendo quindi la gestione del patrimonio immobiliare della Santa Sede all'Apsa, struttura presieduta dal card. Domenico Calcagno (ex pupillo di Bertone, attualmente indagato per malversazione a Savona: secondo l’accusa, quando era vescovo della città ligure, avrebbe avallato spericolate attività immobiliari di due collaboratori dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero). L'Apsa, che è di fatto la banca centrale del Vaticano, con il motu proprio del papa riprende il suo tradizionale ruolo di amministrazione delle proprietà immobiliarie e dei beni della Santa Sede, lasciando al dicastero di Pell il controllo e la vigilanza sul proprio operato. Pell esce quindi nuovamente sconfitto dall’ennesimo braccio di ferro condotto contro la “vecchia guardia” vaticana. I suoi metodi, giudicati rozzi e autoritari (due anni fa – racconta Fittipaldi sull’ultimo numero dell’Espresso – aveva chiesto via e-mail a Calcagno di «procedere senza alcun ritardo alla transizione delle attività» dell’Apsa al suo nuovo dicastero), sono sempre più invisi a figure di primo piano dell’establishment vaticano come il segretario di Stato Pietro Parolin, il suo numero due (sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato) Angelo Becciu, il camerlengo Jean-Louis Tauran, il card. Giovanni Battista Re, il card. Giuseppe Versaldi e il card. Attilio Nicora

Per il card. Pell una vittoria di Pirro

Fittipaldi, molto prima di scrivere Avarizia, aveva pubblicato su L’Espresso il verbale di una riunione dell’Apsa, tenutasi il 12 settembre 2014, in cui alcuni cardinali esprimevano il loro malcontento nei confronti del cardinale australiano: «C’è uno che fa tutto e gli altri no», aveva fatto mettere a verbale il cardinale Jean-Louis Tauran; per poi aggiungere: «Siamo in una fase di sovietizzazione». Un altro “storico” ecclesiastico di Curia, il card. Re, aveva chiosato: «È pericoloso che la Segreteria dell’Economia prenda in mano tutto, così l’Apsa non ha più senso». In seguito c’erano state le rivelazioni dei due libri inchiesta sugli scandali vaticani usciti a fine 2015, Via Crucis, ma soprattutto Avarizia, che documentava l’atteggiamento accentratore di Pell, oltre che i privilegi, le disfunzioni e le enormi spese che avrebbero caratterizzato la gestione della Segreteria per l’Economia (il “moralizzatore” dava 15mila euro al mese al suo segretario, acquistava abiti su misura in lussuose sartorie, concedeva voli in business class a se stesso ed al suo staff e acquistrava costosi arredamenti). 

Poi, ad aprile 2016, la sospensione (e poi la successiva rinegoziazione), voluta dalla Segreteria di Stato del contratto di auditing interno al Vaticano con PriceWaterhouseCoopers, una delle grandi società mondiali che si occupa di revisione di bilanci voluto e sottoscritto da Pell. Il timore è che Pell, attraverso quella società intendesse porre sotto la sua tutela tutte le attività del Vaticano.

Per cercare di dirimere i conflitti sempre più acuti, già dall’autunno scorso era stato costituito un gruppo di lavoro e una commissione, guidata dal card. Velasio De Paolis.  

Che evidentemente non è bastato, tanto che il papa è dovuto intervenire con un ennesimo motu proprio. Che cerca anche di sanare un imbarazzante conflitto d’interessi creatosi all’interno della Segreteria per l’Economia, poiché – con il regime precedente – il super dicastero, attraverso una propria sezione, da una parte amministrava i beni della Sede Apostolica; dall’altra, attraverso un’altra sezione all’interno del Segretariato doveva vigilare su quanto fatto dalla prima; avendo un’unica persona, il cardinale prefetto, come responsabile di entrambe. 

Il nuovo documento papale abolisce anche il controverso (e assai contestato dentro le Mura Vaticane) articolo 17 dello Statuto della Segreteria per l’Economia, quello che affidava al superdicastero guidato da Pell anche il compito di fornire «i servizi amministrativi e tecnici necessari per l’attività ordinaria dei dicasteri della Santa Sede».

D’altra parte, l’Apsa seguirà «le norme e le linee guida date dalla Segreteria per l’Economia nel tenere la contabilità e nel redigere i bilanci». Infine, l’Apsa disporrà del personale ausiliario per i servizi ai dicasteri della Santa Sede e per la manutenzione degli immobili, avendo anche la responsabilità della «Peregrinatio ad Petri Sedem». E la Segreteria per l’Economia dovrà approvare «ogni atto di alienazione, di acquisto o di straordinaria amministrazione posto in essere» dall’Apsa. Vittoria di Pirro per il card. Pell; poiché subito dopo il motu proprio chiarisce che ciò avverrà «in base ai criteri stabiliti dalla Superiore Autorità». Parole che non comparivano nel precedente Statuto e che ribadiscono che l’ultima parola spetterà in ogni caso al papa, sempre più arbitro di un conflitto che ha superato da tempo i livelli di guardia.  

Resta, al fondo, la sensazione che non solo «la Chiesa povera e per i poveri» tanto invocata da Francesco sia ancora solo nelle parole del papa, che la stessa riforma della Curia sia ancora una lontana utopia, ma la stessa riorganizzazione e armonizzazione tra i poteri e gli enti vaticani sia stata tentata in modo piuttosto goffo e contraddittorio, con una moltiplicazione di commissioni, gruppi di lavoro, nuove strutture consultive, organizzative gestionali che hanno acuito i conflitti e le incomprensioni, piuttosto che contribuito a sanarle.

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