
Cara Adista, il 4 dicembre voterò sì
Cara Adista,
abbiamo condiviso il No al referendum costituzionale del 2006 (beh, più che condiviso: ricordo innumerevoli giornate e serate passate lì a via Acciaioli per organizzare il fronte delle riviste “di ispirazione cristiana” contro la riforma voluta dal centrodestra), ma il 4 dicembre ci vedrà su fronti opposti.
Voterò Sì.
Innanzitutto perché non ritengo l’attuale una riforma autoritaria, come viene detto da molti oppositori, poi perché, da antica militante di sinistra, credo occorra valutare prioritariamente il contesto storico-politico e quindi anche il “fronte” su cui schierarsi.
E per quanto io non mi senta “leopoldina”, proprio non ce la faccio a sentirmi rappresentata dagli esponenti politici del No. E la presenza della cosiddetta minoranza dem in tale congerie non attutisce il mio sconcerto, anzi: temo che la vittoria del No sarebbe più devastante per il centrosinistra di ogni eventuale sicumera renziana post Sì. Per non parlare del Paese: ricordiamoci che un Trump qualsiasi è sempre dietro l’angolo quando la stabilità democratica è giocata a dadi, ovvero al tanto peggio tanto meglio.
Non mi inerpicherò qui sugli ardui sentieri dell’ingegneria istituzionale già variegatamente affrontati da tanti costituzionalisti, non solo perché non è il mio mestiere, ma soprattutto perché, al netto della salvaguardia dell’impianto sostanziale della nostra Carta fondamentale, ritengo che nessuna riforma delle regole “seconde”, o “applicative”, possa davvero dare seguito alle attese culturali e politiche che molti di noi conservano nel cuore.
La democrazia è una intelaiatura di storia ideale stratificata attraverso pensieri e rivoluzioni seguite poi da accordi votati a maggioranza, accordi limitati e miseri se paragonati allo slancio iniziale, ma l’essenziale è che restino vive le soggettività capaci di richiamarsi nel profondo a quella storia ideale.
E qui vengo al punto: posso mai chiedere ad una riforma delle procedure la sparizione come d’incanto di una sinistra dove la soggettività, ovvero lo spessore umano, latita spesso a vantaggio delle replicanti figure dei funzionari della nomenklatura?
Posso mai chiedere ad una riforma delle tecniche istituzionali lo spessore umano di una classe politica capace di intuire, prima ancora che di capire, il disastro epocale di una scuola che ha abbandonato la via maestra della ricerca di una formazione umana e culturale, i tempi lenti dello studio e della riflessione, la fatica costante e graduale del fare gruppo a vantaggio di una insensata folle corsa verso il pensiero unico della digitalizzazione in salsa inglese e aziendalistica? Folle corsa dove l’overdose di ordinanze-regolamenti-verbali-certificati-rilevazioni, oltreché impedire il sano “fare scuola” a causa del dover tutto dettagliatamente verbalizzare-registrare-oggettivare-catalogare, altro non esprime che l’omologazione ossessiva della “misurabilità”. Si può mai misurare, “calcolare”, oggettivare l’interiorità di un processo formativo?
Voglio dire che il 4 dicembre non posso votare in base alla sinistra che vorrei, perché allora non dovrei votare più (tanto per dirne una: dov’erano quelli di sinistra quando in una notte sono stati creati gli esodati mentre non si trovava mai il verso per ridurre gli stipendi scandalosi dei manager della Pubblica amministrazione e simili? D’altronde: dov’erano i voti della sinistra quando venivano decisi gli altrettanto scandalosi stipendi dei consiglieri regionali? Erano i voti anche di tanta attuale minoranza dem che appoggiavano lo stesso andazzo degli altri, andazzo legalizzato dalle procedure, ma comunque andazzo. E qui tralasciamo di parlare della corruzione, ci limitiamo a ciò che avviene “regolarmente”).
Certo, avremmo voluto una rottamazione renziana più rispondente ai nostri criteri anti-casta, ma il 4 dicembre dobbiamo decidere non sull’universo mondo ma su un piccolo passo in avanti delle nostre istituzioni. Piccolo, confuso e mal scritto, ma comunque passo in avanti.
E poi… basta! Che si chiuda il capitolo riforme e si torni a mettere al centro dell’agenda il fare politica, il fare scuola, il fare welfare.
Certo, ho anche pensato che Renzi ci aiuterebbe non poco a noi che votiamo Sì “alla Cacciari” se facesse intanto qualche mea culpa circostanziato per esempio sulla scuola (anche se in questo caso qualche cenno occorre ammettere che c’è stato), o sull’insopportabile arroganza di tanti suoi luogotenenti mediatici (e mi dispiace ammetterlo come donna, ma il genere femminile di tale luogotenenza non brilla in molti casi per “differenza di genere”), ma col tempo ho imparato che anche i mea culpa lasciano il tempo che trovano.
E allora voterò Sì confidando soltanto nella fecondità dei gesti minimi e concreti, semplicemente sperando che il Sì sia un gesto buono per l’Italia, e di conseguenza per questo nostro martoriato mondo.
Maria Rita Rendeù, ex presidente nazionale della Fuci
* Foto di Massimiliano Mariani. Immagine originale e licenza.
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