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Vent'anni senza Danilo Dolci: il

Vent'anni senza Danilo Dolci: il "giusto che ascoltò gli ultimi"

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Sono passati vent'anni  dalla morte di Danilo Dolci, sociologo, poeta, educatore e attivista della nonviolenza italiano. Mauro Matteucci, del Centro di accoglienza “don Lorenzo Milani” di Pistoia, lo ricorda in un articolo che è stato pubblicato anche su La Voce di Pistoia.

 

C'è pure chi educa, senza nascondere

l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni

sviluppo ma cercando

d'essere franco all'altro come a sé,

sognando gli altri come ora non sono:

ciascuno cresce solo se sognato.

    E’ probabile che il rumore delle feste natalizie e di fine anno impedirà di ricordare adeguatamente uno dei più grandi educatori del secolo passato: Danilo Dolci, di cui in questi giorni ricorre il ventennale della scomparsa. Egli dimostra, già giovanissimo, fin dall’esperienza di Nomadelfia con don Zeno Saltini, la sua predilezione per i più deboli, per gli emarginati. Ma è nel paese  di Trappeto, nella Sicilia povera e dimenticata, che scopre il grado massimo di povertà e di esclusione da ogni diritto, fino al più elementare: la vita. Sceglie da subito  come forma di lotta, la nonviolenza, che rimarrà una costante di tutte le sue iniziative a favore dei più disagiati.  Il primo dei suoi numerosi digiuni,  lo inizia proprio sul letto di un bambino morto per  denutrizione.

     All’ instancabile lavoro nella realtà concreta unisce le sue pubblicazioni, che fin da Banditi a Partinico (1955), hanno una risonanza pubblica italiana e mondiale, facendo conoscere le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Ma le  iniziative continuano a un ritmo incalzante. Il 2 febbraio 1956 dà inizio allo “sciopero alla rovescia”, con centinaia di disoccupati – suscitando l’intervento della polizia – per riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) concessogli in mezzo a feroci polemiche dà vita al  “Centro studi e iniziative per la piena occupazione”. Da ogni parte giungono  volontari  in Sicilia per consolidare e allargare questo straordinario fronte civile, definito «continuazione della Resistenza, senza sparare».

    Intensifica, intanto, l’attività di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse – gravi, ma  circostanziate – rivolte a importanti esponenti  della vita politica siciliana e nazionale, compreso il ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco e Chi gioca solo, entrambi pubblicati per Einaudi). Ma,  se riceve  attestati di stima e solidarietà, in Italia e all’estero (da Norberto Bobbio ad Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci è solo un pericoloso sovversivo, da mettere a tacere. La Chiesa stessa con il potentissimo cardinale di Palermo, Ernesto Ruffini, lo indica tra i mali principali della Sicilia.

     Ma quello che è davvero rivoluzionario è il suo metodo di lavoro: Dolci non è la figura classica di intellettuale che propina verità, che  pretende di insegnare come e cosa pensare e fare. È convinto che ogni cambiamento nasce dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta e attiva degli interessati. Partendo dall’ascolto anche di chi – perché analfabeta, è considerato privo di dignità umana - ne  valorizza invece la cultura dell’esperienza e l’umanità. Questo metodo prende corpo da riunioni incessanti, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e a pianificare. Viene così riscoperta la maieutica di Socrate, che non è più uno sterile termine filosofico o pedagogico, ma  si  concretizza, diviene umanissima e dolente verità nelle bocche di braccianti, vaccari, pescatori  di un luogo sperduto della Sicilia occidentale.  Il suo messaggio rimane sempre aperto a una visione globale della società: “Sviluppare l’iniziativa del gruppo maieutico dal chiuso di una classe verso le sue famiglie, alla scuola intera e al territorio, ai diversi settori – anche scientifici - , al complessivo ambiente … moltiplicare ovunque possibile la sperimentazione di metodologie relazionali che favoriscono lo sviluppo della individualità personale e collettiva, imparando a connettere fecondamente le ‘teste di ponte’ in un valido fronte: non è una impellente necessità alla vita del mondo?”

   Nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori  prende corpo l’idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un’arma importante alla mafia, per la quale il controllo delle risorse idriche costituisce un formidabile strumento di dominio . L’acqua diventa per Dolci,  bene simbolico che evoca in forma radicale l’eterna lotta tra interesse pubblico e beni privati.  Dopo lotte intense fatte di mobilitazioni popolari, digiuni e repressioni, il progetto viene realizzato. Oggi la diga esiste insieme ad altre modificando la storia di decine di migliaia di persone. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l’attenzione alla qualità dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l’artigianato e l’espressione artistica locali. L’impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso alla sperimentazione pratica, della struttura maieutica, per comprenderne tutte  le potenzialità. Col contributo di esperti internazionali si avvia l’esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini.

  Il lavoro di ricerca, condotto con i collaboratori, diventa sempre più intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio. Dolci evidenzia, profeticamente, i rischi di involuzione democratica delle nostre società connessi alla massificazione, che porta all’emarginazione  di ogni effettivo dissenso, al controllo sociale attraverso la diffusione capillare dei mass-media. Elabora perciò una lucida riflessione critica sulla modernità, e rifiutando il concetto, ormai imperante, di comunicazione di massa, propone l’alternativa della collaborazione creativa, della comunicazione autentica e della nonviolenza. Tra i numerosi titoli che raccolgono questi esiti  recenti del pensiero di Dolci, vanno segnalati: Nessi fra esperienza etica e politica, 1993, La struttura maieutica e l’evolverci , 1996 e Comunicare, legge della vita,  1997.

  Tutta la sua opera, interrotta bruscamente dalla morte improvvisa, ci invita, nel complesso presente che viviamo, ancora alla responsabilità  di intuire come un mondo nuovo potrebbe crescere diverso. Dolci è riuscito a farlo senza ammannire stucchevoli  moralismi o sterili teorie pedagogiche, ma con realizzazioni concrete, calandosi generosamente ed esponendosi in prima persona nella vita quotidiana sempre dalla parte degli ultimi. Di lui, ci resta come un debito da pagare, la forte testimonianza concreta - che lo accosta a un altro grande educatore del ‘900: don Lorenzo Milani – basata su valori ineludibili e sempre attuali: l’impegno come servizio  verso i più deboli, l’assunzione costante di responsabilità, l’adesione alla condizione dell’escluso.

* Foto tratta da Wikimedia Commons, immagine originale

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