Dovere del voto, blandizie politiche e bisogno di chiarezza
“O popolo, hai davvero un bel potere/ dato che tutti gli uomini/ ti temono come un tiranno! Ma tu sei credulone/ e ci godi ad essere adulato/ e menato pel naso/ e stai sempre a bocc’aperta a sentire chi parla/ e il senno, che hai, se ne va via”: così nella commedia “I cavalieri”, andata in scena per la prima volta ad Atene nel 424 a.C., Aristofane fa intervenire il coro che, rivolgendosi al personaggio Popolo quale rappresentante del popolo della democrazia ateniese, descrive i modi attraverso i quali i politici del tempo cercavano di ottenere il consenso con blandizie e false promesse per conseguire la gestione del potere. Sono passati quasi 2.500 anni da quando Aristofane fustigava il malcostume politico ma la bramosia del comando e i modi ingannevoli per ottenerlo non sono in sostanza cambiati. Un dato di fatto che conferma come la “volontà di potenza” di nicciana memoria sia una costante nella storia dell’umanità anche se deve sempre fare i conti con l’istintivo senso di giustizia generatore del diritto (“ne cives ad arma veniant”) e con le inclinazioni altruistiche che spingono l’ uomo a uscire da sé per incontrare gli altri con spirito di comprensione, condivisione e servizio.
Ed è proprio, a ben guardare, l’avanzata o l’indebolimento delle inclinazioni altruistiche che segna nei diversi contesti storici il progredire, l’arrestarsi e anche purtroppo il regredire (talvolta drammatico) della civiltà, sia pure all’interno di un processo storico che, riguardato in tutta la sua estensione e durata, indica un positivo anche se faticoso affermarsi dei principi etici: il principio di umanità (fondato sul rispetto della dignità della persona umana) e la regola d’oro della reciprocità (fare agli altri ciò che vorremmo che essi facessero a noi). E a questo parametro valutativo dovrebbero i cittadini fare ricorso sia giorno dopo giorno per dare il loro apporto al progresso materiale e spirituale della società e sia quando sono chiamati a esercitare in modo personale e diretto quella sovranità che, come dice la Costituzione, “appartiene al popolo” e quindi a ciascuno di noi. Si comprende allora perché il voto, in quanto esercizio di sovranità, è ritenuto un dovere del cittadino. Considerazione questa confermata dal fatto che la rinuncia al voto non esaurisce i suoi effetti negativi solo nell’ambito delle facoltà del singolo che la opera dal momento che essa, restringendo l’area dell’esercizio collettivo della sovranità medesima, indebolisce la democrazia in danno di tutti i consociati.
La non edificante campagna elettorale che volge ormai al termine non giustifica quindi la rinuncia al voto ma fa sorgere alcune domande alle quali la politica dovrebbe dare convincenti risposte. Se la legge elettorale con la quale andremo a votare è, come ormai viene unanimemente riconosciuto, un obbrobrio che va cancellato subito dopo le elezioni col varo di una nuova disciplina, come mai si tace sulle responsabilità di quelle forze politiche (PD, Forza Italia, Lega Nord e Alternativa Popolare) che solo qualche mese addietro l’hanno voluta e approvata col chiaro intento peraltro di favorire i propri disegni danneggiando quelli di altri raggruppamenti? E che senso ha vagheggiare ancora una volta, contro precisi indirizzi costituzionali ripetutamente ribaditi dalla Consulta, una nuova legge che arbitrariamente trasformi anche una modesta maggioranza relativa in una maggioranza assoluta (una dittatura della minoranza peggiore della “tirannia della maggioranza” paventata da Alexis de Tocqueville) invece di cancellare con una legge costituzionalmente corretta lo scandalo dell’attuale normativa che ci “regalerà” un Parlamento di nominati agli ordini delle segreterie di partito? Ed ancora, come mai non si considera che la tanto invocata stabilità di governo non è di per sé il toccasana della politica dal momento che storia e cronaca ci consegnano una varietà di governi stabili anche di pessima e persino tragica esperienza?
Il fatto è che una parte considerevole della nostra politica, sostenuta da poteri che contano in Italia e in Europa e da diversi benpensanti che non è detto siano sempre nel giusto, ritiene che il “patto del Nazareno” fra il renzismo e il berlusconismo, sempre vigente per le evidenti “affinità elettive”, debba continuare a tenere in mano le leve del comando politico nel nostro Paese nonostante le tattiche prese di distanza e le strumentali contrapposizioni. E avvenga ciò che deve avvenire se il “popolo sovrano”, oggi certo democraticamente più maturo rispetto a quello dei tempi di Aristofane, non riuscirà, insidiato come appare da una macchinosa legge elettorale e da altre artificiose operazioni, a bloccare tale progetto. Il Paese ne subirà i costi ma sarà almeno chiaro che il renzismo è cosa diversa dalla sinistra e sarà forse finalmente possibile costruire una consistente opposizione progressista.
Un coagulo di forze capace di portare avanti politiche nella direzione indicata dalla Carta costituzionale sia sul versante delle riforme istituzionali ed elettorali e sia su quello dell’economia con la promozione di investimenti pubblici e privati, la cancellazione degli scandalosi licenziamenti senza giusta causa, il superamento della dilagante precarietà del lavoro, l’intensificazione del criterio di progressività nel sistema tributario contro le proposte dell’aliquota unica e un impegno rivolto ad abbattere l’evasione fiscale attraverso l’impiego di strumenti tecnologici in grado di raggiungere tale effetto nonché con una lotta alla corruzione in chiave preventiva a completamento di quella giudiziaria di segno repressivo che va adeguatamente rafforzata. Ed ancora, per quanto attiene alla politica estera e ai problemi dell’emigrazione, con la scelta del nostro Paese di presentarsi sullo scenario internazionale come una “grande potenza di pace” e, sul fronte interno e su quello europeo, come una democrazia avanzata capace di convertire la xenofobia verso gli emigranti in una scelta di regolata accoglienza e la loro presenza fra noi in una favorevole occasione di integrazione e di crescita. E sì perché nell’interesse della democrazia e dei ceti sociali più deboli occorre che la sinistra, da tempo snaturata e dispersa ma connaturata agli esseri umani nella loro dimensione politica, si dimostri capace di ritrovare e di ricostruire se stessa all’insegna della lotta contro tutti gli abusi e tutte le stridenti disuguaglianze sociali.
Brindisi, 22 febbraio 2018
*Foto tratta da Wikipedia immagine originale e licenza
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