
Sud Sudan devastato da egoismi e violenza: "Nigrizia" chiede all'Onu misure estreme
In Sud Sudan è ormai «guerra di tutti contro tutti». La denuncia è stata lanciata ieri con un editoriale sul sito web della rivista missionaria Nigrizia. Da ormai metà dicembre 2013 il piccolo e più giovane Paese d'Africa vive una situazione di forte conflittualità interna, che ha assunto pesanti connotati etnici e che ha lasciato sul campo decine di migliaia di morti, per lo più civili. Su 12 milioni di abitanti, si contano ben 4 milioni di profughi e 6 milioni di affamati. Dalla guerra civile, denuncia Nigrizia, il Sud Sudan «difficilmente potrà uscire senza l’intervento della comunità internazionale, dell’Onu in particolare».
L'editoriale dei padri comboniani ricorda che la risoluzione adottata il 15 marzo scorso dalle Nazioni Unite ha rinnovato di un anno la missione di pace, con 17mila caschi blu attivi sul campo, aggiungendo inoltre la minaccia di imporre un embargo di armi sul Paese, «qualora fosse necessario». Ma la minaccia non basta, denunciano i comboniani, perché le armi dovevano tacere già diversi anni fa: «Quale situazione al mondo, se non il Sud Sudan, avrebbe maggior bisogno di un silenzio unilaterale delle armi?». Gli accordi di pace tra il presidente Salva Kiir e il leader dell'opposizione Riek Machar – i quali hanno dato il via alla guerra civile nel 2013 – sono tutti saltati, spiega l'editoriale, ad oggi ancora non si intravedono segnali di distensione e intanto proliferano gruppi armati indipendenti, nati dalla scissione dell'esercito regolare e dalle forze armate d'opposizione, che seminano il terrore nei territori al fine di accaparrarsi le risorse strategiche del sottosuolo.
«Chi è oggi al potere non ha interesse alla pace», denuncia l'editoriale di Nigrizia: «La guerra civile, infatti, ha favorito l’accentramento dell’uso delle risorse, del petrolio soprattutto, nelle mani della leadership che le ha usate per finanziare il conflitto e contemporaneamente per l’arricchimento personale e delle proprie famiglie. Non a caso il governo di Juba è accusato di cleptocrazia. Anche per i vescovi cattolici del Sud Sudan tanto il governo che le opposizioni hanno perso credibilità, incapaci di mettere da parte i propri interessi per trovare un accordo per il bene del popolo sudsudanese».
Il quadro è catastrofico e a pagare il prezzo più alto, come sempre, è la popolazione civile, che subisce quotidianamente «atrocità di ogni genere».
I missionari denunciano i rischi di una «totale distruzione del Paese» e di una «ulteriore destabilizzazione dell’area», e chiedono alla comunità internazionale di «imporre l’embargo delle armi e assegnare la responsabilità del Paese a un gruppo di garanti» per un periodo di pacifica transizione che dovrebbe consentire «alla comunità internazionale di investire seriamente nella formazione di una nuova leadership». Un intervento esterno che sa di paternalismo? Forse, ma è ormai l'unica soluzione, dicono i comboniani, perché gli attuali leader sudsudanesi «si sono rivelati incapaci di deporre le armi, di superare i confini etnici e operare per il bene della nazione».
* militari del Sudan People's Liberation Army nei pressi di Juba (2016). Foto di Jason Patinkin (VOA), tratta da Wikipedia, immagine originale e licenza.
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