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Etiopia ed Eritrea fanno la pace: nuove prospettive per il continente africano

Etiopia ed Eritrea fanno la pace: nuove prospettive per il continente africano

Con uno storico abbraccio riconciliatore il premier riformista etiope, Abiy Ahmed, e il presidente eritreo, Isaias Afwerki, hanno posto fine, ieri, ad uno dei più lunghi conflitti armati africani. La guerra di confine, eredità del periodo coloniale, era esplosa nel 1998 e si era interrotta solo nel 2000 – dopo 70-100mila morti – con gli Accordi di Algeri, mai onorati del tutto dalle parti in causa. La città di Badme, contesa dai due Paesi, era stata assegnata da una commissione Onu ad hoc all'Eritrea, ma è poi rimasta sotto l'amministrazione Etiope fino ai recentissimi accordi. Dal 2000 in poi la zona di confine è così divenuta teatro di una guerra a bassa tensione che ha provocato numerose vittime e migrazioni di massa. Alla fine è arrivata la svolta, annunciata agli inizi di giugno scorso, quando il nuovo primo ministro etiope ha proposto ad Asmara la pace, accettando senza condizioni di restituire la città di Badme all'Eritrea, nel rispetto dei confini definiti in seguito ai negoziati di Algeri. Dopo oltre un ventennio di conflittualità, esulta il ministro dell'Informazione eritreo, inizia oggi «una nuova era di pace e amicizia» tra i due Paesi.

Ad attendere il primo ministro etiope Abiy Ahmed all'aeroporto di Asmara c'era anche l'arcivescovo della città, mons. Menghesteab Tesfamariam: «Come leader religioso, rappresentante della Chiesa cattolica – racconta l'arcivescovo a Vatican News (9 luglio) – ero tra quelli che lo aspettavano all’aeroporto. Questo abbraccio è stato molto commovente, molto bello. E migliaia di persone per le strade di Asmara e anche fuori dalla città hanno fatto festa per questo evento. È veramente quasi un miracolo».

«È l'avvio di un processo di pace che speriamo possa avverarsi nel concreto», auspica p. Efrem Tresoldi (comboniano, direttore di Nigrizia) sempre ai microfoni di Vatican News. Secondo l'analisi del comboniano è importante fare reali passi avanti per «riallacciare i rapporti diplomatici» e commerciali e per ritirare le truppe etiopiche dalla zona di confine. La pace “vera” porterebbe risultati importanti a entrambi i Paesi: per l'Etiopia, che non ha sbocchi sul mare, si potrebbero aprire presto i porti Eritrei; per l'Eritrea, invece, la pace potrebbe rappresentare l'occasione per un abbassamento della tensione interna, spiega Tresoldi, magari con l'abolizione della leva militare obbligatoria per tutta la durata della vita, in un regime di militarizzazione e privazione delle libertà a causa della continua minaccia etiope paventata dal presidente Isaias Afwerkidi. Il rischio di essere chiamati alle armi in qualsiasi momento e il mancato rispetto delle libertà di stampa e associazione, sottolinea il comboniano, è stata una delle ragioni che ha spinto tantissimi giovani eritrei ad abbandonare il Paese. «Speriamo appunto che questo nuovo cammino di pace appena appena iniziato possa portare anche a delle riforme interne, che garantiscano condizioni di vita migliori».

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