Nessun articolo nel carrello

Sinodo 2018 - Tra i segni dei tempi, la donna nello spazio pubblico, anche ecclesiale

Sinodo 2018 - Tra i segni dei tempi, la donna nello spazio pubblico, anche ecclesiale

Un grande testo, di Giovanni XXIII, nella Enciclica “Pacem in terris” (1963), inaugura una nuova considerazione delle “cose moderne” nell’ambito del discorso ecclesiale. Rileggerlo integralmente, durante questi giorni sinodali, può fare molto bene. Ecco il testo dei paragrafi 21-25 di Pacem in terris, che hanno come titolo generale “Segni dei tempi”:

Il testo di Pacem in terris (= PT)

Segni dei tempi

21. Tre fenomeni caratterizzano l’epoca moderna.

Anzitutto l’ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici. Nelle prime fasi del loro movimento di ascesa i lavoratori concentravano la loro azione nel rivendicare diritti a contenuto soprattutto economico-sociale; la estendevano quindi ai diritti di natura politica; e infine al diritto di partecipare in forme e gradi adeguati ai beni della cultura. Ed oggi, in tutte le comunità nazionali, nei lavoratori è vividamente operante l’esigenza di essere considerati e trattati non mai come esseri privi di intelligenza e di libertà, in balia dell’altrui arbitrio, ma sempre come soggetti o persone in tutti i settori della convivenza, e cioè nei settori economico-sociali, in quelli della cultura e in quelli della vita pubblica.

22. In secondo luogo viene un fatto a tutti noto, e cioè l’ingresso della donna nella vita pubblica: più accentuatamente, forse, nei popoli di civiltà cristiana; più lentamente, ma sempre su larga scala, tra le genti di altre tradizioni o civiltà. Nella donna, infatti, diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica.

23. Infine la famiglia umana, nei confronti di un passato recente, presenta una configurazione sociale-politica profondamente trasformata. Non più popoli dominatori e popoli dominati: tutti i popoli si sono costituiti o si stanno costituendo in comunità politiche indipendenti.

24. Gli esseri umani, in tutti i paesi e in tutti i continenti, o sono cittadini di uno stato autonomo e indipendente, o stanno per esserlo; nessuno ama sentirsi suddito di poteri politici provenienti dal di fuori della propria comunità umana o gruppo etnico. In moltissimi esseri umani si va così dissolvendo il complesso di inferiorità protrattosi per secoli e millenni; mentre in altri si attenua e tende a scomparire il rispettivo complesso di superiorità, derivante dal privilegio economico-sociale o dal sesso o dalla posizione politica.

Al contrario è diffusa assai largamente la convinzione che tutti gli uomini sono uguali per dignità naturale. Per cui le discriminazioni razziali non trovano più alcuna giustificazione, almeno sul piano della ragione e della dottrina; ciò rappresenta una pietra miliare sulla via che conduce all’instaurazione di una convivenza umana informata ai principi sopra esposti. Quando, infatti, negli esseri umani affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri: nei soggetti che ne sono titolari, del dovere di far valere i diritti come esigenza ed espressione della loro dignità; e in tutti gli altri esseri umani, del dovere di riconoscere gli stessi diritti e di rispettarli.

25. E quando i rapporti della convivenza si pongono in termini di diritti e di doveri, gli esseri umani si aprono sul mondo dei valori spirituali, e comprendono che cosa sia la verità, la giustizia, l’amore, la libertà; e diventano consapevoli di appartenere a quel mondo. Ma sono pure sulla via che li porta a conoscere meglio il vero Dio, trascendente e personale; e ad assumere il rapporto fra se stessi e Dio a solido fondamento e a criterio supremo della loro vita: di quella che vivono nell’intimità di se stessi e di quella che vivono in relazione con gli altri.

 

Questo nuovo respiro, nel guardare al lavoro, alla condizione femminile e alla indipendenza politica, appare sull’orizzonte ecclesiale il giorno 11 aprile del 1963, nello stesso anno in cui il Concilio Vaticano II, iniziato da qualche mese, si struttura e prende forma.

Con la nozione di “segni dei tempi” si inaugura un nuovo sguardo sulla realtà, uscendo dalla diffidenza e dal pregiudizio del mala tempora currunt: ma i “tempi nuovi” e le “res novae” sono anche occasioni di crescita ecclesiale, di ricomprensione e di aggiornamento. Ciò che unifica i “tria signa” è una inedita rilevanza del “diritto dei soggetti”: i lavoratori, le donne e i popoli hanno scoperto di avere diritti che gli altri debbono imparare a riconoscere e a valorizzare. E la Chiesa è implicata in tutto questo e inizia a svoltare, ossia ad uscire da una comprensione che assolutizza la autorità e che si apre al riconoscimento della libertà: libertà del lavoro, libertà della donna e libertà dei popoli. Si apre, diremo così, alla “società aperta”, alla “società secolare”, alla “società differenziata”.

La donna come “res nova” e la Riforma della Chiesa

E’ molto interessante che rispetto al soggetto femminile, il testo di PT 22 dica la novità con queste parole: “l’ingresso della donna nella vita pubblica”, che poi illustra in questo modo: “Nella donna, infatti, diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica.” (PT 22)

E’ evidente come questo “segno” – a differenza di quello che ha per soggetti i lavoratori e i popoli – comporta una maggiore difficoltà, potremmo dire è un “segno dei tempi” che ha richiesto e tuttora richiede “tempi più lunghi”. Forse ciò può essere spiegato per il fatto che il tema “donna” non solo acquisisce una nuova rilevanza pubblica, ma deve depurarsi da una cattura storica sul piano esclusivamente privato. Ciò non vale certamente per il lavoro e per la identità nazionale. Che pertanto hanno solo “metà strada” da fare. Per questo il cammino di “riconoscimento dell’ingresso della donna nella sfera pubblica” è avvenuto significativamente per la Chiesa “ad extra”, ma fatica tanto ad essere elaborato “ad intra”, dove si rimane molto spesso ancorati ad una logica sostanzialmente privata, che nega alla donna l’esercizio di una vera autorità.

Potremmo dire che oggi i “segni dei tempi” esigono non soltanto un “nuovo sguardo sul mondo”, ma “una nuova comprensione che la Chiesa ha di se stessa”: una nuova intelligenza di sé, quella intelligenza che Paolo VI aveva compreso, meditando i testi del suo predecessore, solo qualche mese dopo la pubblicazione di questo testo, nella solenne apertura della II sessione del Concilio Vsaticano II, alla fine del mese di settembre. Un discorso che, nelle intenzioni dello stesso Paolo VI, aveva non solo la funzione di aprire la seconda sessione del Concilio, ma anche di annuciare i contenuti fondamentali del suo pontificato, allora ai suoi primi passi. Eccone un passo decisivo:

«E’ venuta l’ora, a noi sembra, in cui la verità circa la Chiesa di Cristo deve essere esplorata, ordinata ed espressa, non forse con quelle solenni enunciazioni che si chiamano definizioni dogmatiche, ma con quelle dichiarazioni con le quali la Chiesa con più esplicito ed autorevole magistero dichiara ciò che essa pensa di sé»

Paolo VI, 29/09/1963 (Apertura II Sessione Conc. Vaticano II)

Anche i “segni dei tempi” diventano principio di Riforma della Chiesa, purché la Chiesa non si difenda dalla realtà, dando credito non ai profeti, ma ai profeti di sventura, e restando fissata a concezioni e dottrine fondate su convenzioni antiche e anche assai radicate, ma incapaci di cogliere le novità della storia come “passaggio dello Spirito”. L’ingresso della donna in ambito pubblico non è semplicemente uno “spettacolo meraviglioso”, ma implica una profonda trasformazione nel modo con cui la Chiesa vive e pratica la autorità.

I giovani e i segni dei tempi

Anche nel Sinodo sui giovani, i segni dei tempi devono diventare non solo “sguardo e ascolto rinnovato”, ma nuova intelligenza che la Chiesa ha di se stessa. Sulla questione “femminile” un piccolo esercizio della memoria dovrebbe far capire quale grande posta sia in gioco. Si pensi solo a che cosa era – per così dire – la “pastorale giovanile” fino a 60 anni fa: una rigorosa distinzione tra la “educazione dei giovani” ed “educazione delle giovani”. Questo riproduceva all’interno della Chiesa le convinzioni di una società che divideva accuratamente vita maschile e vita femminile, non solo in privato. Vi è stata, per decenni, una Azione cattolica femminile, diversa da quella maschile, e una Gioventù femminile di Azione Cattolica, dal 1918 al 1969. Con il riconoscimento del “segno dei tempi”, è cessata anche la ragione di una differenziazione strutturale tra maschile e femminile. Così è avvenuto in moltissimi settori della società e delle associazioni ecclesiali. Restano ancora Lupetti e Coccinelle, ma secondo logiche in grande trasformazione.

Questo evidentemente non è senza rischi: di cadere in una forma di eguaglianza che può diventare omologazione o differenza perduta. Ma ciò non di meno, ciò che oggi diviene essenziale è la acquisizione ecclesiale di questo “ingresso femminile nella vita pubblica”. Su questo piano, le resistenze, mentali e procedurali, sono ancora molto forti, direi viscerali. E’ come se si volesse “smarcare” la Chiesa, nella sua autocomprensione e nella sua disciplina, da questo “segno dei tempi”. Come se l’ingresso della donna nella vita pubblica, riconosciuto ed apprezzato fuori, dovesse lasciare immune la Chiesa da questa ricchezza nuova, che potrà essere pienamente sperimentata e vissuta solo se diventerà possibile e concreto esercizio di autorità. I segni dei tempi sono realmente tali se diventano principi di riforma della Chiesa, per il modo con cui essa considera e tratta la donna, il lavoro e i popoli.

I giovani, di cui il Sinodo si occupa con ammirevole zelo, portano sul corpo le tracce evidenti di questi segni dei tempi. Sono il frutto di un mondo che ragiona ed opera secondo queste novità. La Chiesa può leggervi, di riflesso, la storia di una crescita e di una riforma di sé. In un certo senso, nel racconto dei giovani e nella loro esperienza, essa è costretta a riconoscere che “de te fabula narratur”: questa è proprio una buona notizia, purché non la si lasci nella astrattezza di una buona, ma sterile intenzione.

 

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.