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Violenze sui migranti in Libia: le testimonianze raccolte da Mediterranean Hope

Violenze sui migranti in Libia: le testimonianze raccolte da Mediterranean Hope

ROMA-ADISTA. L’isola di Lampedusa è scomparsa, o quasi, dalle notizie di giornali e telegiornali. Non perché la situazione dei migranti nel Mediterraneo si sia miracolosamente normalizzata, ma perché per il governo giallo-verde, e in particolare al vicepremier-ministro degli Interni Matteo Salvini, non è una buona pubblicità. Allora meglio tacere.

Tuttavia gli operatori di Mediterranean Hope, il programma per rifugiati e migranti della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), che vivono sull’isola di Lampedusa e mantengono attivo un Osservatorio che svolge un lavoro di primissima accoglienza e mediazione, hanno raccolto testimonianze di torture e violenze subiti in Libia dai migranti e le hanno riferiti alla Nev, l’agenzia di informazione delle Chiese evangeliche. Ecco i loro racconti.

 

«Nour ha disegnato su un foglio di carta le celle e le 4 porte blindate. Celle separate per uomini e donne. E ha raccontato di come ogni sera le donne venivano prese e portate nella cella dopo la terza porta blindata. Quattro uomini ogni donna. Quattro miliziani libici per ogni prigioniera somala, o eritrea. E ogni sera venivano violentate e stuprate ripetutamente. Da quattro sconosciuti. Ogni sera. Per più di un anno. E quando una di loro rimaneva incinta veniva portata nello stesso posto e presa a calci. Fino all'aborto e oltre. Fino a quando il feto non veniva fuori dal corpo della donna».

La situazione in Libia continua ad essere molto critica e i migranti intrappolati in quella terra riferiscono condizioni di detenzione al limite della sopravvivenza e continue violazione dei diritti umani.  La testimonianza di Nour è stata raccolta nei giorni scorsi; la ragazza è arrivata a Lampedusa con lo sbarco del 13 ottobre.

Intanto gli sbarchi continuano. A piccoli gruppi e con barchette di legno arrivano i tunisini, mentre il viaggio dalla Libia sembra aver preso nuove modalità, con molti trasbordi tra barche piccole e più grandi fino all’arrivo in acque internazionali, come racconta Imad, anche lui arrivato il 13 ottobre: «2.700 dollari per il viaggio dall'Egitto a Lampedusa, comprensivo di viaggi in camion e in barca. La detenzione prima in una casa e poi in una sorta di campo profughi. Le violenze e la fame. E poi il viaggio, affrontato con altre 33 persone, provenienti da Libano, Egitto, Somalia, Eritrea, su una barca piccola che li ha caricati su una nave e scaricati a 5 ore dalle coste di Lampedusa per permettergli di raggiungere autonomamente la costa. Le persone “più scure” venivano fatte stare nella stiva mentre egiziani e libici potevano restare sul ponte».

I migranti rinchiusi nell’hotspot dell’isola spesso riescono ad arrivare in paese e Mediterranean Hope mette a loro disposizione un internet point per poter contattare i familiari e rassicurarli comunicando il proprio arrivo, sani e salvi, al di là del mare. È in questa situazione che gli operatori del programma della Fcei hanno occasione di parlare con i migranti e raccogliere le loro storie: «Abdi è partito dall’Eritrea, ha attraversato l’Etiopia e poi passando dal Sud Sudan è arrivato in Libia dove ha passato un anno e sette mesi in un luogo chiuso e angusto, venendo picchiato tutti i giorni dai “Gangsterman”, fino a quando gli hanno fatto chiamare la madre, in Eritrea, chiedendole 11.000 dollari per il riscatto. Solo dopo aver pagato è stato imbarcato ed è arrivato a Lampedusa. Zakaria viene da Asmara ed è arrivato in Libia attraverso il Sudan. Lì è rimasto per due anni in prigione, venendo spostato di città in città, fino all’imbarco, al viaggio e allo sbarco a Lampedusa».

Marta Bernardini, che coordina il programma Mediterranean Hope sull’isola ha dichiarato che «queste storie, piene  di brutalità e violazioni dei diritti degli esseri umani dimostrano una volta di più che si deve lavorare per creare dei passaggi sicuri per chi fugge da guerre e povertà, che i corridoi umanitari sono una soluzione possibile per contrastare il cinismo dei trafficanti, della politica che ha chiuso ogni via legale di accesso in Italia e in Europa, e l’egoismo di chi invoca frontiere chiuse e blocchi navali».

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