
In Irlanda la blasfemia non è più reato. E in Italia?
La “cattolicissima” Irlanda sempre più sulla via della laicità: dopo la legalizzazione del matrimonio omosessuale (2014) e la più recente depenalizzazione dell'aborto, venerdì scorso i cittadini irlandesi hanno confermato, tramite referendum, la modifica costituzionale votata dal Parlamento dell'Isola per defenestrare il reato di blasfemia dalla Carta fondamentale, come già accaduto in Inghilterra e Galles nel 2008. Si è recato alle urne il 43,8% degli aventi diritto e il “Sì” all'abolizione del reato di blasfemia ha ottenuto il 64,58% dei voti.
La riforma prevede la cancellazione dell'aggettivo “blasfeme” dall'articolo costituzionale che definisce reato punibile per legge «la pubblicazione o l’espressione di opere o parole blasfeme, sediziose o indecenti». In realtà è dal 1855 che in Irlanda non si è più condannato qualcuno per blasfemia e, anche in tempi più recenti, quando il mondo conservatore ha tentato di rispolverare il reato ormai decaduto per colpire alcuni vip, i magistrati hanno deciso di non perseguire il caso.
da 50 a 300€ è l'ammontare della sanzione pecuniaria prevista in Italia per la blasfemia, divenuta da "reato" a "illecito" nel 1999, quando si è deciso di metter mano alla legge che veniva introdotta nel 1930 nel codice penale.
Sulla scia dell'Irlanda è forse ora che «anche in Italia si possa finalmente superare questo retaggio fascista che sanziona l’offesa alla religione», ha commentato Adele Orioli, portavoce dell'Uaar (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti). «Siamo forse troppo ottimisti – ha aggiunto – ma ci viene da pensare che persino la Chiesa italiana potrebbe non opporsi, visto che di fatto non si è opposta in Irlanda. Inoltre la libertà di espressione è protetta dalla Costituzione e non si vede proprio perché le opinioni in materia religiosa debbano essere criminalizzate».
La battaglia contro il reato di blasfemia, se in Irlanda o in Italia potrebbe apparire puramente simbolico, ha importantissime diramazioni globali. La questione, afferma Orioli, «non va assolutamente sottovalutata, soprattutto se pensiamo che, secondo il “Rapporto sulla libertà di pensiero nel mondo” diffuso nel 2017», in 12 Paesi «l’apostasia può essere punita con la condanna a morte», e che Afghanistan, Iran, Nigeria, Arabia Saudita, Somalia e Pakistan «prevedono la pena di morte anche per il reato di blasfemia».
Il 7 novembre prossimo, con la presentazione romana dell'ultimo “Rapporto sulla libertà di pensiero nel mondo”, conclude Orioli, «sapremo se e come le cose sono cambiate».
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