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È anche nelle piccole cose che si giocano le grandi cause. La nuova edizione dei Testi dell'Agenda Latinoamericana

È anche nelle piccole cose che si giocano le grandi cause. La nuova edizione dei Testi dell'Agenda Latinoamericana

Tratto da: Adista Documenti n° 40 del 24/11/2018

DOC-2946. ROMA-ADISTA. Del servizio alle grandi cause dell'umanità l'Agenda latinoamericana (e mondiale) – opera aconfessionale, ecumenica e macroecumenica ideata da Pedro Casaldáliga e da José María Vigil nel solco dell’educazione popolare liberatrice latinoamericana – ha sempre fatto la sua principale bandiera. Come ricordano infatti i suoi curatori, fin dai suoi inizi, l'Agenda «ha dichiarato il suo afflato liberatore, debitore dello spirito latinoamericano per antonomasia, la spiritualità della liberazione». «Uno spirito, un carattere, un DNA spirituale» caratterizzato dall'impegno con la storia, dalla sua «passione utopica e allo stesso tempo pratica, fedele alla prassi di trasformazione storica, alla trasformazione della società e del mondo». Cause, dunque, «sempre "Grandi" dall’inizio alla fine».

È tuttavia una prospettiva leggermente diversa quella seguita dall'ultima edizione dell'Agenda, trasformata dai curatori italiani, già da due anni, in un libro: Le grandi cause nelle piccole cose. I testi dell'Agenda Latinoamericana mondiale (il libro, il cui ricavato andrà in massima parte a sostenere un progetto ecologico in El Salvador, può essere richiesto ad Adista, tel. 06/68801924, e-mail: abbonamenti@adista.it, oppure acquistato online sul sito www.adista.it).

Nella convinzione che, come scrivono Casaldáliga e Vigil, le Grandi Cause, da sole, non possono «dar conto di tutto ciò che in realtà è davvero "grande" in termini di valore e dignità», perché «si giocano anche – benché certamente non soltanto – nel "piccolo"», i testi dell'Agenda pongono quest'anno l'accento su «ciò che abitualmente viene messo ai margini» e «tradizionalmente reso invisibile»: «l'immenso ambito del "piccolo", con il nostro quotidiano, privato e personale, con ciò che è intimo e familiare, con le amicizie, la casa, lo svago e l’ozio».

Nessuna tentazione di ripiegamento, nessuna fuga da una realtà che sconforta e spaventa: gli autori e le autrici di queste pagine, al contrario, vogliono mettere in luce proprio l'importanza di prenderci cura di noi e di quello che ci circonda come «una condizione e, allo stesso tempo, una dimensione inerente all’impegno per le Grandi Cause», secondo le parole di José Arregi. Siamo del resto, prosegue Arregi, «esseri di cura». «La "divi prena" Cura ci crea e ricrea incessantemente dalle profondità di noi stessi e di tutto ciò che esiste. Siamo Cura e Alito creatore per noi stessi e per i fratelli più piccoli che ci circondano». Leggendo queste pagine, allora, ci si renderà conto che non esistono cause "piccole", perché, come evidenzia Ivone Gebara, nel piccolo delle nostre relazioni, nella sfera quotidiana, «l'individuale è collettivo e il collettivo individuale». Basti pensare alle ricadute sull'ambiente, sul mondo animale e sulla nostra stessa salute che può avere la scelta individuale di rinunciare alla carne o di mangiarne meno, considerando che, come spiega Marinella Correggia, «in un mondo nel quale i viventi si arrovellano su due obiettivi, stare in vita e soffrire il meno possibile, il cibo è un filo rosso universale, per ora intrecciato di violenze e soprusi».

Oggi sappiamo, spiega Philip Wollen, che «CO2, metano e protossido di azoto dell’industria dell’allevamento stanno uccidendo i nostri oceani, lasciandosi dietro grandi aree acidificate e morte» e che «i gas a effetto serra prodotti dall’allevamento superano del 50% quelli prodotti da tutto il trasporto: aerei, treni, autocarri, automobili e navi». Che occorrono 15mila litri di acqua per produrre un chilo di carne bovina. Che eliminare la carne dalla nostra dieta significherebbe mettere fine alla fame nel mondo. Che torturiamo e ammazziamo due miliardi di animali ogni settimana, malgrado il fatto che, «quando soffriamo, soffriamo tutti allo stesso modo. E che, nella sua capacità di soffrire, un cane è uguale a un maiale, è uguale e un orso ed è uguale a un bambino». Come possiamo allora, si chiede Roberto Bennati, provocare tanti danni ambientali e causare tanta sofferenza ad altri esseri viventi «solo per il gusto di mangiare la carne»?

Ma non c'è azione della nostra vita quotidiana che non assuma un valore politico. Così, coltivare un orto urbano può trasformarsi «in una strategia pedagogica in direzione di una rivoluzione urbana in forma comunitaria che ci aiuti tutti a operare una connessione vitale tra i nostri luoghi di origine e un nuovo luogo di accoglienza» (Gonzalo Mateo). Tornare alla terra per produrre, secondo le parole di Roberto Li Calzi, «cibo per la salute, fisica e mentale», può diventare «l’unica possibilità che il territorio sia accudito e salvaguardato e che il paesaggio agrario non diventi una distesa di capannoni e cemento». Aver cura degli anziani e dei malati nelle nostre famiglie ci fa scoprire come ognuno debba poter vivere ogni tappa della vita con dignità e nel rispetto dei propri diritti, nella consapevolezza che, come ricordano Geraldine Brake e Linda Donovan, «la vita ci conduce alla morte come parte di un processo integrale»: «nasciamo da altre/i; sopravviviamo ad altre/i; moriamo seguendo altre/ i…», come parte di «uno stesso processo comunitario che, in definitiva, è l’Universo stesso».

E se crediamo da sempre che "dobbiamo essere noi il cambiamento che desideriamo vedere nel mondo", vale la pena ricordare che, come sottolinea Geraldina Céspedes, «il sistema gerarchico-piramidale, androcentricopatriarcale e consumista-predatorio resta in piedi perché le nostre pratiche quotidiane continuano ad alimentarlo e a riprodurlo». E che è dunque nelle «nostre abitudini quotidiane e nei semplici gesti che compiamo da quando ci alziamo fino al momento in cui andiamo a dormire» che prendiamo posizione «o per questo sistema capitalista predatorio o per una società nuova che funzioni in modo diverso e sulla base di altri valori». Cosicché «il nostro stile di vita, le nostre abitudini di consumo, ciò che usiamo, come lo usiamo, come ci spostiamo, come utilizziamo le risorse della Madre Terra, il modo in cui ci nutriamo o ci laviamo… possono essere oggi la profezia più credibile, una forma di denuncia e un modo di proclamare senza parole che crediamo in altri valori».

Ecco perché ogni nostra piccola azione ha un peso enorme e costruisce spazi di resistenza. Ed ecco perché, come ci ricordano Pedro Casaldáliga e José María Vigil, «il quotidiano è il test più affidabile per mostrare la qualità della nostra vita e lo spirito che la anima». Di seguito gli interventi di José Arregi e di Marinella Correggia.

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