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Per una Chiesa di donne e uomini: uguali, differenti e conviviali

Per una Chiesa di donne e uomini: uguali, differenti e conviviali

VERONA-ADISTA. Si e conclusa a Verona un’iniziativa in chiave ecumenica promossa dal Centro Studi di Pax Christi (con il “punto pace” di Verona), assieme al CTI (Coordinamento Teologhe Italiane), al SAE (Segretariato attività ecumeniche) e alla rivista “Combonifem”. Una partecipazione ampia ha messo in evidenza, in tre tappe, i semi, i segni e i sogni di donne e uomini pronti a riformare la Chiesa facendola insieme. La mia introduzione ha messo in luce la necessità di un lavoro di conversione comune oltre ogni forma di clericalismo e ha informato sul pensiero di Tonino Bello a proposito della presenza femminile nella vita ecclesiale. Il desiderio dei promotori era quello di offrire un contributo alla cultura della nonviolenza per la riforma della Chiesa dando voce e visibilità al ruolo delle donne nella vita ecclesiale.

Nella prima tappa (quella dei “semi”) Cristina Simonelli e Lucia Vantini (rispettivamente presidente e vicepresidente del Coordinamento Teologhe Italiane) hanno illustrato le vicende della prima comunità cristiana cogliendo, tramite gli Atti degli apostoli, l'istantanea di una chiesa nascente che raccoglie una comunità complessa, una vera comunione delle differenze nel vivo di ferite, tradimenti, pregiudizi (compresi quelli di genere). Simonelli ha osservato che troviamo nel Nuovo Testamento due tipi di dati: gli incontri (pensiamo alle discepole, fra tutte Maria di Magdala, Marta e Maria di Betania ma anche la donna curva che viene rialzata, oggi spesso presa come metafora del rimettere in piedi le donne prostrate) e i confini che vengono attraversati (la samaritana, la cananea o sirofenicia). Se poi guardiamo all’esperienza delle origini come viene presentata nell’epistolario paolino troviamo una quantità di donne che solo in anni recenti abbiamo considerato: dalle donne di Corinto che profetizzano nell’assemblea riunita per la preghiera liturgica (1 Cor 11,10) alle molte persone e fra queste molte donne salutate nel cap 16 della lettera ai Romani, fra cui Febe, la diacona di Corinto, e le coppie di Priscilla e Aquila e di Andronico e Giunia, e altri e altre. Oggi, come affrontare schematismi e pregiudizi verso le donne nella Chiesa? Il compito è affidato al nostro cuore e alla nostra intelligenza, sapendo che questo non si tratta di un lavoro, ma di una vita intera, appassionante, che comporta decisione e delicatezza insieme. Purché delicatezza non sia neppure in piccola misura confusa con la rassegnazione, con il silenzio colpevole che alla fine diventa omertà. Sia piuttosto perseveranza, la capacità di “stare” (stabat mater) attivando processi come scrive Evangelii Gaudium (222). Utile, al riguardo, il Discorso al popolo di Dio, che non riguarda solo il tema degli abusi, ma dice di un modo di essere Chiesa, di tutti, appunto, oltre ogni clericalismo.

Marisa Sitta (Pax Christi) ha aperto il dibattito con la citazione di Raffaele Nogaro dall'introduzione al libro Caro Francesco che riporta la lettera di 25 donne al Papa: “Valorizzare la donna anche nel governo della Chiesa non è una questione di democrazia. E' una realtà di fede. Non deve preoccupare l'importanza di una tradizione. Bisogna rispondere alla verità di una vocazione. Quel Gesù che ai tempi della sua esistenza terrena chiamava le donne al servizio della comunità e della Parola perché dovrebbe oggi "fare preferenza di persone" e trascurarle nei ruoli della responsabilità diretta? Non si "rattrista forse lo Spirito Santo"(Ef 4,30) quando nella Chiesa si impedisce alla sua libertà di chiamare le donne a un ministero istituzionalizzato?”. Quando parlano del sogno di una Chiesa aperta alle donne, i teologi offrono spunti interessanti ma lasciano l'impressione che non si possa andare oltre gli auspici di cambiamento, perché si evita di toccare il punto dolente che è il ministero sacerdotale ordinato riservato a uomini celibi, su cui è radicata tutta la struttura ecclesiale cattolica.

Nella seconda tappa (quella dei “segni”), sono state narrate esperienze ecclesiali di periferia.

Margherita Bertinat (SAE) ha ricordato l’esperienza del Coordinamento ecumenico volto a praticare un pensiero ospitale che frequenta periferie e frontiere, aperto all’inedito, sull’esempio di Placido Sgroi e Marianita Montresor (che ci hanno recentemente lasciato).

Sara Benetti si è soffermata sulla variegata “Comunità Le Orme”, diffusa tra le colline veronesi di Fittà, Soave, Colognola e Marcellise, orientata a costruirsi tramite le differenze, che può essere riassunta con le immagini della porta aperta, della tavola comune e della parola di verità.

 

Anita Cervi e Giuseppe Magri hanno parlato della loro esperienza ecclesiale di coppia a Castagnè, animatrice di reti e relazioni di vicinato: una sorta di diaconato familiare disponibile a “fare casa”, coscienti che gli altri cambiano nella misura in cui noi stessi, anche come Chiesa, cambiamo

Erica Sfredda (Chiesa valdese) ha narrato le vicende della presenza femminile nelle chiese riformate (diaconesse, assitenti,  pastorato) concentrandosi sul recente percorso unitario insieme ai metodisti e presbiteriani, sul percorso di integrazione che ha come prospettiva l’Essere (davvero) Chiesa Insieme.

Nella terza tappa ( quella dei “sogni”) lo sguardo si è aperto al domani. Per Lidia Maggi (pastora battista) il futuro che desideriamo per le nostre Chiese ha bisogno della memoria di Gesù Cristo raccontato nelle Scritture che per molto tempo ci sono state sottratte e che sono state sottoposte a interpretazioni parziali e distorte che abbiamo introiettato e che ci hanno fatto male. Riappropriarci della memoria biblica ci riporta a un popolo con la sua storia di schiavi che si liberano e che camminano con Dio nel deserto. Noi veniamo da lì, da Dio che sceglie di camminare con noi per rischiare, per incontrare differenze, per misurarsi con gli altri.

Secondo Dario Vivian (della Facoltà teologica del Triveneto) la bussola da avere, nel sogno di chiesa che si apre al futuro, non può non essere il discepolato di eguali testimoniato nel Nuovo Testamento. Per andare verso un sogno di chiesa più evangelica si deve incidere sulla forma istituzionale partendo dalle prassi facendo emergere le differenze confessionali e le differenze di genere. A livello di differenze confessionali, l’orizzonte in cui porsi è quello della reciprocità, come in modo esemplare viene articolato nel consenso luterano-cattolico sulla giustificazione del 1999. A livello di differenze di genere, i passaggi da fare sono quello di pensarsi nella parzialità, evitando che la prospettiva maschile venga contrabbandata per neutra e quindi universale; poi di rispettarsi nella diversità, secondo un pensiero della differenza che non omologa; infine di relazionarsi nella reciprocità. Che il sogno sia ad occhi ben aperti e sia un sogno comune.

Concludendo, risulta completamente aperto il tema del ripensamento dei ministeri. Alcuni parlano della necessità di cambiare il Diritto Canonico, che al Canone 129 lega l'esercizio della potestas, cioè del potere di governo e di giurisdizione nella comunità, esclusivamente ai membri ordinati. Restando così la norma, ha osservato Marisa Sitta, ne consegue il paradosso che tutti quelli che non hanno ricevuto il sacramento dell'ordine restano in una sorta di minorità permanente nella Chiesa e per questo è impossibile che vengano loro attribuiti e riconosciuti ruoli di autorità. Il nodo del ministero ordinato resta vistosa pietra di inciampo: al Sinodo, ad esempio, ha implicato che le superiore religiose non potessero votare, a differenza dei superiori. Nel paragrafo 148 del documento finale, inoltre, si auspica "una presenza femminile negli organi ecclesiali...nel rispetto del ruolo del ministero ordinato”. E' doveroso chiedersi fino a quando questa situazione paradossale sarà sostenibile. Mi chiedo, conclude Sitta, quali strade possiamo perché qualcosa si muova riguardo al nodo cruciale che separa donne e ministeri nella Chiesa cattolica. Avrebbe senso chiedere un ministero ad hoc, tipo il diaconato femminile, diverso dal diaconato per gli aspiranti preti? Oppure sarebbe meglio chiedere una assemblea qualificata di uomini e donne che ripensi in toto il ministero presbiterale alla luce del Vangelo? E’ necessario premere perché si abbia il coraggio di parlarne in modo chiaro e propositivo e cercare di superare l'attuale situazione discriminatoria verso le donne.

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