
Devastazione ambientale, fame e morti, frutto avvelenato del capitalismo. Carlin Petrini su "Vita Pastorale"
"Anche se noi ci crediamo assolti siamo lo stesso coinvolti". Si potrebbe sintetizzare così, parafrasando “La canzone del maggio” di Fabrizio De André, l’intervento del fondatore di Slow Food, Carlin Petrini, sul numero di giugno di Vita Pastorale (Gruppo Editoriale San Paolo). È intitolato “Uscire dal silenzio”, il silenzio che manteniamo sulle responsabilità del nostro mondo occidentale nella scelta disperata di tanti che attraversano deserti e mari, a enorme rischio della propria vita, perché la loro terra non è più vivibile, divorata com’è dal cambiamento climatico e dalla imperante economia predatoria.
«La verità» che va ammessa e urlata «è che il principale responsabile del disastro ambientale che stiamo vedendo e che include, per esempio, la deforestazione selvaggia di enormi aree di foresta pluviale per far posto agli allevamenti e alle coltivazioni, si chiama capitalismo. Quel capitalismo fatto di competizione estrema, di accaparramento delle risorse, di sfruttamento del lavoro e di accumulazione infinita della ricchezza» che ha causato fra i popoli e all’interno dei popoli crescenti e distruttive disparità economiche. «Perché le cause originarie di questa disparità di condizioni – afferma a chiare lettere Petrini – pesano sulle nostre spalle di europei privilegiati, che ci piaccia o no. Dopo secoli di colonizzazione, schiavitù, post-colonizzazione e sfruttamento indiscriminato, oggi qualcuno si stupisce se i Paesi del cosiddetto “Sud del mondo” soffrono di situazioni economiche e sociali molto pesanti. E magari risorgono pensieri malati che abbiamo già conosciuto e che dovrebbero farci rabbrividire al solo ricordo», ammonisce Petrini, alludendo al razzismo così irresponsabilmente fomentato in Italia e in Europa.
Oggi, «come afferma senza infingimenti anche l’Onu, una buona parte delle crisi alimentari ed economiche – continua Petrini – sono dovute alle mutate condizioni climatiche che accentuano fenomeni atmosferici estremi andando a colpire maggiormente le popolazioni più vulnerabili. Nell’Africa subsahariana o nel Sud-est asiatico siccità e inondazioni si alternano creando crisi sanitarie e alimentari. Ma pensiamo davvero che il cambiamento climatico colpisca tutti allo stesso modo? E ancora, pensiamo davvero che tutti siano responsabili del cambiamento climatico in egual misura?».
«È arrivato il momento di cambiare, una volta per tutte, il paradigma che ha guidato finora il nostro agire e il nostro pensare. Non esiste una vita degna se non è per tutti». È il momento, conclude il fondatore di Slow Food, di «affermare che la nostra idea di mondo è inclusiva, accogliente e redistributiva. E che la guerra tra poveri non è mai frutto del caso ma di una pianificazione attenta da parte di chi detiene le risorse. Dobbiamo uscire dal nostro silenzio. E riprendere in mano il discorso pubblico: non possiamo lasciare che l’odio e il rancore diventino il linguaggio comune della nostra Italia».
*Lisbona, 2013. Foto di Urban Isthmus, tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!