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Cambiare approccio sull’immigrazione a partire dall’emigrazione: l’analisi del prof. Ambrosini

Cambiare approccio sull’immigrazione a partire dall’emigrazione: l’analisi del prof. Ambrosini

Quello dei fenomeni migratori (e delle loro gestione), come è noto, rappresenta uno dei grandi temi che mobilitano opinione pubblica, società civile e mondo politico oggi in Italia. Spesso lontano dal senso della verità e della misura, a tutto vantaggio di movimenti e partiti sovranisti e xenofobi che cavalcano l’onda della psicosi collettiva dell’invasione. Eppure l’Italia, oggi come in passato, seppure in forme decisamente diverse, è anche un Paese di emigrazione.

Ne parla il 16 giugno il professor Maurizio Ambrosini (sociologo delle migrazioni all’Università di Milano) in un articolo su Avvenire che tratta proprio il tema dell’emigrazione dei nostri concittadini all’estero, cresciuta e mutata soprattutto dopo il 2008 a causa della crisi economica e finanziaria.

Tra partenze definitive e modelli “circolari” di migrazione, gli italiani che partono non sono più principalmente meridionali. Un po’ a sorpresa, sottolinea Ambrosini analizzando le iscrizioni all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), «la prima regione di provenienza è la Lombardia (33.658), seguita dal Veneto (23.657), mentre la Sicilia figura soltanto al terzo posto (22.086). La prima provincia, anch’essa inattesa, è invece Genova, con 15.375 nuovi registrati all’Aire, seguita da Roma (11.663) e da Milano (10.162)». Partono giovani e meno giovani, uomini e donne, single o famiglie («come agli inizi del Novecento»).

Ambrosini, numeri alla mano, smonta il pregiudizio dei cosiddetti “cervelli in fuga”, che rappresentano sono una parte delle nuove migrazioni, con cui si intende spesso identificare tout court il flusso in uscita. Circa la metà degli espatriati, specifica, non vanno ad intraprendere brillanti carriere nella ricerca, nella finanza o nella sanità. Si tratta di occupati con competenze medio-basse che cercano lavori umili, oppure di espatriati con curricola di alto profilo ma che «trovano spesso lavori inferiori ai loro livelli di istruzione e alle loro competenze». Rischi che però non piegano la volontà migratoria di molti, soprattutto giovani, certi della promessa di una più ampia mobilità sociale all’estero o semplicemente affascinati dall’idea di fare nove esperienze, conoscere il mondo, imparare una lingua straniera, ecc.

Insomma, le aspirazioni e le difficoltà degli italiani all’estero non sono poi così diverse da quelle dei cosiddetti “migranti economici” che arrivano in Italia (e che spesso vorremmo rispedire il prima possibile a casa loro). «C’è però una differenza», aggiunge Ambrosini: «Gli emigranti italiani sono sorretti da una cittadinanza forte, nell’Unione Europea godono di diritti parificati con quelli dei cittadini nazionali, si sono scrollati di dosso quasi del tutto gli antichi pregiudizi e le odiose discriminazioni che al tempo di don Sturzo li colpivano. I loro compagni di destino in Italia non ancora. Fare memoria dell’emigrazione di ieri e avere consapevolezza di quella di oggi dovrebbe incitarci ad assumere uno sguardo diverso verso l’immigrazione che ha scelto l’Italia come la terra in cui costruire il proprio futuro».

«La vera differenza è che rispetto agli anni 50 e 60, oggi c'è una migliore accoglienza degli italiani all'estero con meno pregiudizi e discriminazioni», fa eco Tonio Dell’Olio nella rubrica “Mosaico dei giorni”, che cura per Mosaico di pace. «Cosa che non facciamo noi quando i migranti sono gli altri».

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