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PRIMO PIANO. Magistratura e manovre insidiose

PRIMO PIANO. Magistratura e manovre insidiose

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 24 del 29/06/2019

Lo scandalo che sta investendo il Consiglio Superiore della Magistratura e alcuni uffici giudiziari mette in evidenza i comportamenti deviati e scorretti, emersi nel corso di alcune inchieste penali, di magistrati, consiglieri del CSM ed esponenti politici di notevole rilievo. Sarà poi l’esito definitivo dei procedimenti giudiziari a dire se i fatti addebitati assumano o meno i caratteri di specifici reati ma non vi è dubbio che le desolanti vicende sono il frutto di un inammissibile intreccio di ambizioni carrieristiche, di pratiche clientelari e di tortuosi interessi partitici, documentati da notizie che fanno nomi e cognomi indicando fatti specifici, appartenenze politiche e ruoli dei protagonisti. Un andazzo tanto grave da indurre il vicepresidente del CSM David Ermini ad affermare che “o sapremo riscattare coi fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti”. Un’espressione nella quale ovviamente il “noi” e il “saremo perduti” non si riferiscono certo a coloro che oggi compongono il Consiglio Superiore della Magistratura (ne siamo certi perché è da escludere una simile concezione corporativa degli interessi in gioco), ma al CSM in sé come organo di rilievo costituzionale nonché alla Magistratura nel suo complesso e alle istituzioni della nostra democrazia.

Il CSM infatti è l’organo di autogoverno dei magistrati che, in linea con la Costituzione e con le normative in materia, decide sui problemi riguardanti le carriere dei giudici con l’intento di assicurare le garanzie di autonomia e di indipendenza dei magistrati in attuazione dell’articolo 104 della Costituzione il quale proclama che “la Magistratura costituisce un organo autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Ed è proprio per l’adempimento di questo dovere che viene attribuita a tale organo la responsabilità di deliberare su assunzioni, promozioni, trasferimenti e provvedimenti disciplinari dei singoli magistrati.

È giusto che lo scandalo in questione provochi allarme sociale e la richiesta di urgenti interventi, ma occorre fare attenzione per evitare che al danno di questa vicenda si aggiunga la beffa di buttare, come si suole dire, “con l’acqua sporca anche il bambino”. Un “bambino” che in questo caso è la rappresentazione metaforica di quella “autonomia della Magistratura” quotidianamente vissuta e testimoniata da migliaia di giudici che, lontani dai riti e dai clamori della notorietà, fanno scrupolosamente il proprio dovere costituendo un baluardo contro il dilagante malaffare e tutte le forme di illiceità. E lo fanno spesso in situazioni difficili per la carenza delle prescritte collaborazioni e dei necessari servizi e perché in alcuni casi esposti anche al rischio di ritorsioni criminali.

È giusto che si accendano i riflettori su quanto di negativo avviene all’interno dell’ordinamento giudiziario, ma nessuno pensi di capovolgere la logica della necessaria operazione riformatrice comprimendo l’autonomia della Magistratura perché se è vero che i deprecabili traffici sono il frutto di indegne intese fra politici corruttori e magistrati corruttibili è anche certo che l’oggetto di questi tortuosi affari ha sempre la finalità di condizionare o influenzare decisioni giudiziarie.

Occorre fare esattamente l’opposto e cioè riproporre, veicolandolo con tutti gli strumenti formativi, il messaggio costituzionale per il quale la giustizia, per sua natura indipendente, “è amministrata in nome del popolo” (come riconferma del principio della sovranità popolare) da giudici “soggetti soltanto alla legge” (sottratti quindi a qualsiasi influenza o condizionamento politico) e distinguibili solo fra loro “per la diversità delle funzioni”. Precisazione questa che non consente la separazione delle carriere con due diversi Consigli Superiori (come voleva un fallito tentativo di riforma). Una soluzione che finirebbe per fare della Magistratura inquirente un organismo autocentrato destinato a subire futuri assoggettamenti politici restando esposto al rischio di trasformarsi in un corpo separato con accentuate inclinazioni punitive estranee a quel ruolo di “parte imparziale” che l’ufficio del Pubblico Ministero è chiamato a svolgere anche in un sistema accusatorio. Non si riesumino quindi la separazione delle carriere (la distinzione è un’altra cosa ed è già operante) né i tentativi di inventare questa o quella forma di controllo politico sull’esercizio dell’azione penale perché ciò che occorre è ben altro. Sono indubbiamente indispensabili riforme (anche del sistema elettorale) rivolte a superare nel CSM le correnti quali espressione partigiana di forze politiche ma occorre farlo senza mortificare il confronto fra aree culturali diverse perché una tale scelta, oltre a limitare il diritto di associazione e di libera manifestazione del pensiero sanciti dagli articoli 18 e 21 della Costituzione, condannerebbe tale organo e l’intera Magistratura a una inconcepibile e dannosa povertà intellettuale favorendo inclinazioni tecnicistiche e corporative. C’è intanto urgente bisogno che vengano applicati il dettato costituzionale e le normative vigenti in materia. Sullo scandalo in questione il CSM, quello attualmente operante, può esercitare i poteri disciplinari di cui dispone, gli organi giudiziari possono procedere nelle loro inchieste e la politica, se vuole rigenerarsi nelle sue espressioni coinvolte nello scandalo, può intervenire per valutare i casi specifici e assumere le sue responsabilità.

«Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?». L’interrogativo dantesco pone un problema di scottante attualità nel nostro Paese dove da qualche tempo la disobbedienza alle leggi, non giustificata da obiezioni di coscienza normativamente previste o comunque di elevato valore etico, è diventata non solo una mascherata pratica di illiceità assai diffusa ma anche una ostentata moda di inconcludenti politiche e di spericolati fustigatori di costumi. Un quadro poco incoraggiante al quale si aggiungono gli attacchi generici mossi in questi giorni alla magistratura e le indecifrabili sortite pubbliche di noti personaggi che nulla dicono però di concreto sul da farsi per sanzionare sul piano disciplinare i comportamenti attribuiti ad alcuni politici e ad alcuni magistrati e per approntare efficaci misure rivolte a prevenire deprecabili accadimenti. Nessuno vuol fare azzardati processi alle intenzioni, ma sarebbe utile evitare accuse o assoluzioni generalizzate e generiche, le une e le altre destinate a lasciare le cose così come stanno.

Secondo la nostra Costituzione il principio della divisione dei poteri, che è alla base dello Stato di diritto, e il principio di uguaglianza, per il quale la “pari dignità sociale” dei cittadini va concretamente attuata con una costante rimozione degli ostacoli che la impediscono, sono espressioni di valori che vanno vissuti e rilanciati. Una Magistratura autonoma non garantisce di per sé l’affermazione di questi valori anche sul versante della politica economica e sociale ma non vi è dubbio che ogni restringimento dell’indipendenza dei giudici provoca un’ineluttabile compressione di diritti fondamentali e una esponenziale crescita di arbitri e ingiustizie.

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