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Cuba rende omaggio al cardinal Jaime Ortega, eccellente pastore, fine diplomatico

Cuba rende omaggio al cardinal Jaime Ortega, eccellente pastore, fine diplomatico

L’AVANA-ADISTA. Grande il cordoglio, a Cuba, per la morte del card. Jaime Ortega y Alamino, l’arcivescovo che ha “portato” tre papi nell’Isola “di” Fidel Castro: Giovanni Paolo II (1998), Benedetto XVI (2012), e Francesco (2015). Grande il cordoglio nella Chiesa che vede scomparire un uomo di inusitate capacità pastorali e insieme diplomatiche in un contesto storico difficile; un sacerdote e vescovo che non hai separato l’impegno per la dignità della Chiesa da quello per la dignità di un popolo e di un Paese che altri avrebbero voluto asserviti. Se n’è andato il 26 luglio, quasi non avesse voluto scegliere a caso il giorno della sua morte, in omaggio alla storia alla quale è stata legata la gran parte della sua vita e dellla sua opera: è un giorno di festa nazionale nell’Isola caraibica, celebra l’inizio – con l’attacco alla caserma Moncada a Santiago di Cuba nel 1953 – della lotta per la liberazione del Paese dalla dittatura di Fulgencio Batista (liberazione che il “Movimento 26 luglio” portò a compimento costringendo alla fuga il dittatore il 1° gennaio del 1959).

A poche ore dalla morte, Granma, il quotidiano organo ufficiale del Partito comunista, ha dato notizia della scomparsa del cardinale riportando ossequiosamente il comunicato dell’arcivescovo dell’Avana, mons. Juan de la Caridad García Rodríguez. E a fine giornata sono state consegnate ufficialmente in Vaticano due lettere di condoglianze indirizzate a papa Francesco a nome del popolo cubano, firmate l’una dal presidente della Repubblica, Miguel Díaz Canel, e l’altra dall’ex presidente Raúl Castro. Le lettere sono centrate sulla figura del cardinale e ricordano ruolo, carisma e presenza di Ortega nella storia di Cuba come persona di valore, patriottica e trasparente. Commenta Díaz Canel che Cuba perde un figlio e un cittadino che non ha mai risparmiato sacrifici e fatiche, a volte fra attacchi, malintensi e mezogne, per amare e servire la sua Chiesa come una realtà inestricabilmente vincolata alla nazione e al popolo. In un tweet ha aggiunto: «È innegabile il suo contributo al rafforzamento delle relazioni fra Chiesa cattolica romana e lo Stato cubano».

Il governo cubano ha offerto funerali di Stato alla memoria di Ortega, cortesemente rifiutati dalla Chiesa. Il 28 luglio, alle esequie hanno assistito molti commossi cubani. Sia Díaz Canel che Castro hanno fatto giungere omaggi floreali, senza recarvisi. Vi hanno però presenziato numerose alte autorità del governo, dello Stato e del Partito Comunista. Alla cerimonia funebre, celebrata dall’arcivescovo dell’Avana, sono accorse folte rappresentanze di religiosi e autorità ecclesaistiche di altri Paesi, fra le quali il card. Sean O´Malley, arcivescovo di Boston.

Quando ha lasciato la Cattedrale dell’Immacolata Concezione di Maria, nel cuore dell'Avana Vecchia, il feretro è stato salutato da un interminabile applauso, dal suono delle campane e da canti religiosi.

Il messaggio del papa sorprende: freddo e minimale

Durante la cerimonia, mons. Jean Francois Simonart, incaricato d’affari della nunziatura apsotolica all’Avana ha letto il messaggio di condoglianze del papa, inviato tramite telegramma dal segretario di Stato, card. Pietro Parolin. Inidriizzato all’arcivescovo dell’Avana, il messaggio è singolarmente stringato: il papa «chiede a sua eccellenza di inviare le sue condoglianze e la sua paterna vicinanza ai parenti, al clero e ai fedeli di quell'arcidiocesi. Nello stesso tempo mentre offre i suffragi per l'eterno riposo del defunto, che ha servito la chiesa e i suoi fratelli nei vari uffici affidatigli dalla provvidenza, impartisce a tutti la benedizione apostolica, come segno della speranza cristiana nel Signore risorto». Ha stupito il freddo formalismo del messaggio di Francesco, noto estimatore e amico di Ortega. In ambienti cubani si ipotizza che sia realistico attendersi una riflessione più consona alla levatura ecclesiale e storica del defunto cardinale.

Ortega, un cubano doc

Il card. Ortega, nato a Jagüey Grande il 18 ottobre 1936, si è fomato al sacerdozio nel seminario diocesano di San Alberto Magno di Matanzas diretto dai Padri delle Missioni Straniere del Québec, completando gli studi di teologia presso gli stessi padri in Canada. Rientrato a Cuba, è stato ordinato sacerdote il 2 agosto del 1964 nella Cattedrale di Matanzas. Vicario coadiutore a Cárdenas, il suo ministero è stato interrotto per 8 mesi, nel 1966, quando viene internato in un campo di lavoro (UMAP). Ritornato in libertà nel 1967, viene  nominato parroco del suo villaggio natale e, due anni dopo, parroco della Cattedrale di Matanzas.

È Giovanni Paolo a nominarlo vescovo, affidandogli nel 1978 la diocesi di Pinar del Río, e nel 1981 l’arcidiocesi di San Cristóbal de L’Avana, dove è rimasto fino al 2016, quando, ben 5 anni dopo l’età del pensionamento, sono state infine accettate le sue dimissioni (v. Adista Notizie n. 18/16). Ha dedicato particolare cura ai laici e ai giovani per i quali ha costruito centri di incontro e formazione. Cardinale dal 1994, ha fondato nuove parrocchie ed è riuscito ad ottenere permessi per la ricostruzione di oltre quaranta chiese e case parrocchiali, e perché religiosi e religiose potessero lavorare a Cuba nell’opera di evangelizzazione, ottenendo anche la presenza di sacerdoti, se richiesti, nelle carceri o negli ospedali. Nel 1991 ha fondato la Caritas cubana. Nonostante la Chiesa nel Paese non abbia avuto per molto tempo alcun accesso ai mezzi di comunicazione sociale, è riuscito, senza urtare la “suscettibilità” delle autorità, a far arrivare la sua voce alla gente attraverso omelie, bollettini, interventi e messaggi.

Ortega è stato capace di rifondare la fiducia dei cubani, credenti e no, nella Chiesa, testimoniandone la dignità. Molti i meriti e i successi del dialogo che ha sempre intessuto con il potere civile: dal più piccolo, se così si può dire – l’istituzione del giorno festivo per Natale – al più storico: il ripristino delle relazioni diplomatiche fra Cuba e Stati Uniti, Obama e Francesco regnanti (v., fra gli altri, Adista Notizie nn. 46/14; 5, 20, 21 e 25/15), passando per l’impegno a favore di detenuti cosiddetti "politici", impegno premiato con la scarcerazione di un buon umero di essi (ovviamente non se autori di gravi delitti; v. Adista Notizie nn. 21, 28, 35, 48, 66/10; v. Adista Notizie n. 29/15).

Nel gennaio 1998 ha accolto Giovanni Paolo II nel suo storico viaggio a Cuba; nel marzo 2012 Benedetto XVI e due volte papa Francesco, prima nella visita resa a Cuba nel settembre 2015, e poi, il 12 febbraio 2016, nella sosta compiuta all'Avana dove Francesco ha incontrato Kirill, patriarca di Mosca e di tutta la Russia (v. Adista Notizie, n. 8/16).

Ascoltato dall’agenzia Zenit (26/7), l’architetto Orlando Márquez Hidalgo, direttore dal 1992 al 2016 di Palabra nueva (rvisita della diocesi dell’Avana), ricorda che il card. Ortega, cui era molto vicino, «non era neutrale, si esponeva  per far sentire la voce della Chiesa». Si è pronunciato, per esempio, contro la pena di morte nel luglio 1989 in occasione dell’esecuzione del generale cubano Arnaldo Ochoa e di tre soldati. E nel 1993 ha firmato la lettera pastorale L'amore tutto spera, in cui i vescovi cubani hanno riconosciuto pubblicamente la necessità di cambiamenti sull'Isola. Diceva, l’arcivescovo, che «l’utopia esiste, ma come frutto di un complesso di idee (ideario) e non come ideologia, perché l’ideologia, chiude, limita». «A Cuba – sottolineava – può esistere un ideario magnifico con il padre Félix Varela, con José Martí, con José de la Luz y Caballero, con tutti questi uomini “nobili” che offrono un ideario bello nel quale l’essere umano cresce».

Nella Cattedrale di Miami, affermò che, a Cuba, la Chiesa non è né un semplice oppositore del comunismo né un alleato dell'economia liberista di mercato, ma depositaria e interprete della Parola di Dio. In quell’occasione, Ortega «raccontò loro – seguita Márquez – di José Martí, "che respingeva l'odio come forza negativa" e che poneva l'amore come centro e culmine del suo lavoro patriottico tradusse in poesia il mandato dell'evangelico dell'amore al nemico: ...”E per il crudele che mi strappa il cuore con cui vivo, né cardo né bruco, coltivo una rosa bianca”. “Questa – commentò il cardinale – è la nostra gloriosa versione cubana di porgere l'altra guancia"».

Sapeva, afferma ancora Márquez, che i suoi sforzi non erano graditi a tutti. Nel 2012, durante un intervento a Boston, ebbe a dire: «La Chiesa che è a Cuba e la mia persona sono attaccate in tutti i modi possibili... È quello che comporta dare la vita per le pecore... Perché non c’è resurrezione senza croce e io ho accettato che mi devo misurare con questo e con questo tutti ci dobbiamo misurare per portare avanti la riconciliazione fra cubani». 

*Cattedrale de L'Avana. Foto di Akasenn, tratta da Wikipedia, immagine originale e licenza 

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