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Sinodo valdese: «Una Chiesa sempre più di frontiera». Intervista al moderatore uscente, pastore Bernardini

Sinodo valdese: «Una Chiesa sempre più di frontiera». Intervista al moderatore uscente, pastore Bernardini

TORRE PELLICE (TO)-ADISTA. Nato a Cosenza nel 1954, sposato e padre di tre figli, il pastore Eugenio Bernardini, dopo aver esercitato il ministero a Foggia e Torino e aver diretto dal 1996 al 2003 il settimanale delle chiese battiste, metodiste e valdese Riforma, dal 2012 è moderatore della Tavola valdese, l’organo esecutivo delle Chiese metodiste e valdesi. Il suo mandato scade quest’anno. Il Sinodo, cominciato oggi e in corso fino a venerdì a Torre Pellice (To), eleggerà il suo successore, che potrebbe essere una donna e sarebbe la seconda volta (dopo Maria Bonafede, moderatora prima di Bernardini, dal 2005 al 2012) nella cinquantennale storia della Tavola (costituita nel 1965). Adista lo ha intervistato, alla conclusione del suo mandato.

Pastore Bernardini, com’è il bilancio di questi sette anni alla guida della Tavola valdese?

È un bilancio positivo da molti punti di vista. In particolare voglio segnalare due eventi, uno più interno alla nostra Chiesa ed uno invece esterno.

Cominciamo da quello interno…

Quando nel giugno 2015 papa Francesco è venuto ospite della nostra chiesa a Torino. Un segno ecumenico importante e un evento storico: la prima volta di un pontefice cattolico in una chiesa valdese. È stato un gesto di grande fraternità, anche perché Francesco ha avuto la franchezza e il coraggio di chiedere perdono ai valdesi per le sofferenze inflitte nel passato non da alcuni cattolici ma dalla stessa Chiesa cattolica romana. Dopo questo evento la fiducia e la collaborazione con i cattolici sono cresciute, anche se restano differenze su alcuni punti della dottrina e della pratica religiosa.

Invece quello esterno?

Si tratta di un tema che ci è stato imposto dagli eventi: la questione delle migrazioni. In realtà  ce ne occupiamo da sempre, ma l’aumento degli arrivi, causato dal conflitto in Siria, ci ha portato ad avviare degli interventi più incisivi, come il programma dei corridoi umanitari, insieme peraltro, a proposito di collaborazioni ecumeniche, alla Comunità di Sant’Egidio. Il progetto è cominciato nel 2015, ad oggi ha fatto sì che circa duemila profughi siriani siano arrivati in sicurezza in Italia. Credo che continui ad essere un esempio di “buona pratica”, tanto che gli ex premier Gentiloni e Conte hanno indicato i corridoi umanitari come un impegno delle istituzioni internazionali che deve essere implementato perché è una risposta completa per le situazioni di guerra e persecuzione. Oltre a quello ovviamente c’è stato l’impegno per l’accoglienza, la formazione e l’integrazione in Italia, per non creare difficoltà e tensioni, né a loro né ai residenti in Italia.

È un programma che vi ha catapultato sulla scena politica: avete preso delle posizioni molto critiche nei confronti delle politiche contro i migranti del governo Lega-Cinquestelle, e in particolare del ministro Salvini, che hanno contribuito ad incattivire il Paese.

È vero, anche se la politica non è lo scopo delle Chiese metodiste e valdesi. Ma l’imbarbarimento del clima nel Paese è una delle nostre grandi preoccupazioni. Abbiamo sempre insistito perché, anche nella comunicazione politica, si mantenessero dei toni adeguati per il confronto, rispettosi. Un dialogo da posizioni diverse è assolutamente necessario per trovare delle soluzioni ai problemi e per il bene comune. Con la polemica, con l’irrisione, con il mancato riconoscimento della diversità di vedute da parte degli altri, non solo non si risolvono i problemi, ma la situazione degenera, a vantaggio di chi è interessato non al bene comune ma al successo personale.

La polemica con il ministro Salvini talvolta è stata aspra…

Non ci siamo tirati indietro nemmeno con il nuovo governo o con il nuovo ministro dell’Interno: abbiamo scritto lettere, sollecitato soluzioni, perché l’imbarbarimento delle relazioni fa male a tutti, alle persone, alla società, alla politica. Siamo sempre più preoccupati da questi segnali, che purtroppo sono diventati molto più che segnali, di mancata volontà di dialogare ma soprattutto di imporre il proprio pensiero. Non si possono proporre delle evidenti falsità come dati di fatto e che portano poi a comportamenti scomposti. Speriamo che questa specie di follia collettiva si superi e si torni ad un confronto degno di un Paese civile. Noi, nella nostra vita ecclesiale, pratichiamo un confronto sincero, leale, senza nascondere le posizioni, perché la ricchezza di una comunità non è l’imposizione di un pensiero unico, ma la dialettica di posizioni diverse per trovare la soluzione migliore per tutti. Tutte le derive di tipo autoritario, sia politiche che religiose, storicamente hanno provocato sofferenze e disastri. E questo spesso viene dimenticato.

In questi anni, il Sinodo, dopo un confronto non sempre semplice, ha approvato due documenti: uno sulle “famiglie plurali”, che prevede, fra l’altro, la benedizione liturgica delle coppie omosessuali; e uno sul fine-vita, che ammette la possibilità, in casi particolari, dell’eutanasia e del suicidio assistito.

Ci piace stare sulla frontiera, ci disturbano i confini e i muri sia interni che esterni, abbiamo una cultura che valorizza lo spirito critico e l’ascolto e che cerca di mantenere saldi i principi ma incarnandoli nel cambiamento sociale, culturale e antropologico. Sono temi che interrogano direttamente la comunità dei credenti e che vanno maneggiati con cura, senza arroganza, perché ci sono sensibilità diverse e sofferenze profonde.

Parliamo delle famiglie plurali

Potranno non piacere a qualche parte politica, ma è evidente che i modelli di famiglia effettivamente vissuti in Italia sono diversi, per questo abbiamo cominciato a parlare di “famiglia plurali”. Sono un dato di fatto, abbiamo riconosciuto una realtà che esiste, purché all’interno ci siano i principi di amore, reciprocità e responsabilità. Anche per questo abbiamo sostenuto il disegno di legge sulle unioni civili.

E sul fine-vita?

È un altro tema delicato, che non può essere usato per fare propaganda. Abbiamo sostenuto che, fatti salvi alcuni elementi come la capacità di autodeterminarsi e la piena consapevolezza della decisione (che quindi non deve essere frutto di un momento di depressione, di disperazione),  la responsabilità personale non può essere soffocata. Una comunità religiosa deve accompagnare la persona che compie una scelta simile, nessuno può essere sequestrato da un corpo politico o sociale.

Qual è il ruolo di metodisti e valdesi nella società italiana di questo tempo?

Siamo una piccola comunità religiosa che si pensa sempre al servizio del Paese, sia con la testimonianza del Vangelo come messaggio liberante, sia nella solidarietà con i più deboli. Vorremmo essere così, restando sulla frontiera, con le porte e le finestre aperte al dialogo.

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