
Il coronavirus e quell'antica paura degli stranieri che portano malattie
La paura degli stranieri, e in particolare delle malattie delle quali si presume siano portatori, è una delle più antiche, e ha accompagnato la reazione dei cittadini di fronte ai grandi flussi migratori dall’Albania, dal Marocco, dalla Romania e, oggi, dalla Cina. In seguito alla diffusione globale del coronavirus e ai timori dell’opinione pubblica sui possibili contagi anche in Italia, Redattore Sociale ha intervistato Maurizio Ambrosini, sociologo delle migrazioni all’Università di Milano e all’Università di Nizza, direttore di Mondi migranti e direttore scientifico della Scuola estiva di Sociologia delle migrazioni del Centro studi Medì (CSMedì) di Genova. Di recente, Ambrosini ha pubblicato per Laterza il libro L'invasione immaginaria, che il sito di informazione definisce «un viaggio tra pregiudizi, fake news e stereotipi». Numeri alla mano, l’autore smonta numerose ansie sociali, costruite a poco a poco con anni di bombardamento mediatico, soprattutto sugli arrivi via mare, sull’islamizzazione del Paese, su un’invasione che non c’è mai stata ma che ha condizionato in maniera determinante il dibattito pubblico e (dunque) le politiche migratorie promosse da una classe politica in perenne campagna elettorale.
Bisogna riconoscere oggi, suggerisce Ambrosini a Redattore Sociale, che «la paura dello straniero perché porta malattie è una delle più antiche. Credo che sia tipico di un atteggiamento ansiogeno verso gli immigrati per cui bisogna tenerli sempre sotto controllo. Il timore è che possano creare problemi alla pacifica comunità dei residenti. Ed è quello che sta succedendo ora con i cinesi, visti come altro da noi anche se questa comunità è in Italia da oltre 100 anni».
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