
Non sono le armi a garantire la sicurezza: ecco cosa ci insegna il coronavirus
In piena epidemia da coronavirus, ormai pandemia globale, Rete della Pace e Rete Italiana per il Disarmo chiedono «più investimenti per la salute» a fronte di «meno spese militari». In un comunicato odierno le reti pacifiste invitano, in questa drammatica situazione, a riflettere sulle priorità del Paese, sull’importanza di tutelare la salute pubblica, sul «ruolo dello Stato e dell’economia al servizio del bene comune».
La storia recente italiana mette a nudo un stridente contraddizione nella spesa pubblica: «Non possiamo dimenticare – sottolineano i firmatari della nota – che l'impatto di questa epidemia è reso ancora più devastante dal continuo e recente indebolimento del Sistema Sanitario Nazionale a fronte di una ininterrotta crescita di fondi e impegno a favore delle spese militari e dell'industria degli armamenti».
Lontano da ogni semplificazione e consapevoli della complessità del tema, le Reti spiegano che il «trasferimento di risorse dal campo degli eserciti e delle armi a quello del sistema sanitario e delle cure mediche, tenendo conto che le tendenze degli ultimi anni dimostrano una strada diametralmente opposta», potrebbe risolvere parte importante del problema.
Il comunicato riporta lo studio della Fondazione GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) secondo il quale, a fronte di una progressiva contrazione della spesa sanitaria, «la spesa militare ha sperimentato un balzo avanti negli ultimi 15 anni con una dato complessivo passato dall'1,25% rispetto al Pil del 2006 fino a circa l'1,40% raggiunto ormai stabilmente negli ultimi anni». Tetto che probabilmente salire ulteriormente a quota 1,43% nel corso del 2020, secondo le stime di Mil€x, osservatorio sulle spese militari promosso da Enrico Piovesana e Francesco Vignarca in collaborazione con il Movimento Nonviolento. Come se non bastasse, infine, pesa come un macigno sui conti pubblici l’auspicio di Donald Trump di portare la spesa militare tra i membri Nato al 2% del Pil. Richiesta che pare sia stata accolta anche dagli ultimi governi militari.
Si tratta di costi sostenuti per approvvigionamento di armamenti, per le 36 missioni all’estero, per l’acquisto di cacciabombardieri F-35, fregate, elicotteri, missili e blindati. E mentre si acquistano mezzi militari e armi, proseguono i pacifisti, il settore sanitario perde 37 miliardi di euro in 10 anni e subisce il taglio di 43mila posti di lavoro. «Le drammatiche notizie delle ultime settimane dimostrano – denunciano i firmatari – come non siano le armi e gli strumenti militari a garantire davvero la nostra sicurezza, promossa e realizzata invece da tutte quelle iniziative che salvaguardano la salute, il lavoro, l’ambiente».
Il decreto "Cura Italia" costa al Paese 25 miliardi, «e certamente non basterà; quanto si potrebbe fare di più risparmiandoci le spese militari anche in tempi ordinari?», si chiedono i pacifisti che infine propongono:
1) «Rilanciare proposte e pratiche di vera difesa costituzionale dei valori fondanti la nostra Repubblica, come le iniziative a sostegno della Difesa Civile non armata e Nonviolenta».
2) «Ridurre le spese militari ed utilizzare tali fondi per rafforzare la sanità, per l’educazione, per sostenere il rilancio della ricerca e degli investimenti per una economia sostenibile in grado di coniugare equità, salute, tutela del territorio ed occupazione».
3) Occorre «puntare alla riconversione» delle aziende e del personale tecnico ora, impiegati nella produzione di ordigni sempre più sofisticati e mortali, «verso il settore civile».
«Già subito dopo la Seconda guerra mondiale – conclude l’appello – il nascente movimento pacifista chiedeva "Ospedali e scuole, non cannoni", come ricordava Aldo Capitini alla prima Marcia italiana per la pace e la fratellanza tra i popoli. Dopo 60 anni ci accorgiamo che quel semplice slogan non era un sogno utopistico generico, ma una realistica necessità politica: oggi ci troviamo con ospedali insufficienti e scuole chiuse, mentre spendiamo troppo per le armi. Una conversione della difesa dal militare al civile è quello di cui abbiamo tutti bisogno».
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