Un Gesù che si lascia convertire
Tratto da: Adista Documenti n° 25 del 27/06/2020
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«Partito di là, Gesù si ritirò nel territorio di Tiro e di Sidone. Ed ecco, una donna cananea di quei luoghi uscì fuori e prese a gridare: “Abbi pietà di me, Signore, figlio di Davide: mia figlia è gravemente tormentata da una forza che la divide!”. Ma egli non le rispose parola. I suoi discepoli si avvicinavano e lo pregavano dicendo: “Mandala via, perché ci grida dietro!”. Ma egli rispose dicendo: “Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele”. Ella però venne e gli si prostrò dinanzi, dicendo: “Signore, aiutami!”. Gesù rispose: “Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini”. Ma ella disse: “Dici bene, Signore. Eppure, anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Allora Gesù le disse: “Donna, grande è la tua fede: ti sia fatto come vuoi”. E da quel momento sua figlia fu guarita»
La durezza
Il racconto che abbiamo appena ascoltato è alquanto insolito, specie a motivo del fatto che ci presenta un Gesù piuttosto duro, di cui stentiamo persino a riconoscere i tratti, di norma assai più dolci e comprensivi. Questa sorta di incredulità e di sbigottimento che le parole di Gesù provocano ancora oggi in chi le legge, può costituire il motivo per cui tale episodio, riportato tanto da Matteo quanto da Marco, è invece tralasciato da Luca, che pare trascurarlo intenzionalmente. Gesù ha appena concluso, in Matteo, una disputa riguardante il legalismo farisaico, rimproverando quell’atteggiamento rigido di ipocrisia e di bigotta superficialità.
Al termine di questa controversia Gesù decide di allontanarsi momentaneamente dall’amata Galilea e di ritirarsi presso la zona di Tiro e Sidone, abitata in prevalenza da cosiddetti «pagani».
L’impressione è che Gesù sia stanco di disquisizioni che vertono immancabilmente sul significato da attribuire alla Parola di Dio, oltre che deluso dalla constatazione che, troppo spesso, ciò che ai pii dottori della legge manca nell’interpretare gli insegnamenti delle Scritture è una sensibilità che sembra non accompagnarne adeguatamente l’analisi e lo studio. Sembrerebbe, pertanto, che Gesù intenda prendere le distanze, anche fisicamente, da controversie che lo hanno sfibrato ed avvilito: niente di meglio, a questo scopo, che muovere i passi in direzione di una terra estranea alle tradizioni religiose e culturali proprie dell’ebraismo. Peccato che ad attenderlo vi sia un imprevisto, che ha volto e voce di donna. Costei viene letteralmente allo scoperto: non soltanto materialmente, ma anche per ciò che riguarda i suoi sentimenti, che rivela a quell’uomo, a quel profeta di passaggio, con una sincerità che è figlia del dolore, di una disperazione che prorompe nel grido di chi richiede ascolto e aiuto.
La donna, difatti, implora pietà: pietà di fronte allo strazio di una madre costretta ad assistere, impotente, alle sofferenze della figlia; uno scuotimento che sgorga dalle viscere che l’hanno partorita. La donna abbandona il pudore per mettere a nudo un cuore ferito e si rivolge allo sconosciuto maestro con una fiducia che sconcerta. Pur domandando per la figlia, la donna chiede a Gesù che abbia pietà di lei: perché la sua è una richiesta d’amore, perché l’esaudimento, pur non riguardandola direttamente, la coinvolge in maniera totale, viscerale, come soltanto nell’amore può avvenire. Eppure a tanto amore, in un primo momento, Gesù sembra sordo, persino insensibile: al punto che, di fronte a quel grido, mostra indifferenza, non degnandolo di alcuna risposta, di alcuna attenzione, foss’anche quella fugace di uno sguardo distratto.
Gesù procede senza tener conto di quell’interruzione indesiderata, di quella supplica espressa con voce rotta dalla commozione: avanza, come se nulla fosse. Sono i discepoli a richiamarlo, a chiedergli che redarguisca quella donna impudente che, a quanto pare, continua a gridare alle loro spalle: “Scacciala” – gli chiedono – “È sconveniente che una sconosciuta ti supplichi a gran voce lungo la strada di una città straniera”.
Nella risposta che fornisce ai discepoli, Gesù sembra dire che quanto sta accadendo, in verità, non lo tocca minimamente, poiché, in ultima analisi, non è affar suo: «Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele». Come a dire: alle grida di una straniera, qualunque sia il dolore che può averle generate, io non posso che rimanere sordo. Si tratta di una risposta che ci lascia raggelati, poiché sembra contraddire palesemente le parole che Gesù aveva rivolto con fermezza ai dottori della legge, amareggiato e indignato di fronte alla durezza del loro cuore.
Per provare a comprendere meglio il senso di ciò che Gesù dice ai suoi discepoli nel nostro racconto, è necessario tenere conto del contesto: con ogni probabilità, da buon ebreo, Gesù, all’inizio della sua attività pubblica, riteneva che il mandato che egli aveva ricevuto da Dio riguardasse le sole persone di fede israelita, ivi inclusi quei galilei spesso guardati con sospetto dai sacerdoti del tempio di Gerusalemme. Più nello specifico, Gesù credeva di doversi rivolgere a quanti, in Israele, erano considerati perduti, talvolta irrimediabilmente, proprio perché estromessi dalla vita sociale a causa della scarsa attenzione prestata ai precetti legalistici. Qui, però, Gesù si trova dinnanzi ad una donna e per di più straniera: qualcuno che, in definitiva, non rientra nel compito che Gesù ritiene che Dio gli abbia affidato. Eppure, una volta ancora, avverrà l’imprevedibile.
La donna compie un gesto che, prima ancora delle parole che proferirà, costringerà Gesù a soffermarsi: sosta del corpo che precede quella dell’animo, connotata dalla riflessione. La straniera, difatti, con un movimento improvviso e audace, gli si pone dinanzi e, prostratasi ai suoi piedi, gli sbarra il cammino: costringe Gesù, in un certo qual modo, ad accorgersi della sua presenza; lo obbliga ad abbandonare l’iniziale indifferenza. Dopodichè ribadisce, prostrata nell’animo prima che nel corpo: «Signore, aiutami». Ora Gesù è tenuto a risponderle, anche soltanto a scostarla o a respingerla: non può più ignorarla e questa sembra essere l’unica cosa che importi a questa donna caparbia e coraggiosa.
E difatti, Gesù, le risponde; una volta ancora ci lascia interdetti la sua freddezza, il suo parlare duro: «Non è bene – dice – prendere il pane dei figli e buttarlo ai cagnolini». A ribadire, una volta di più, che l’appartenenza alla fede israelitica è condizione essenziale ed irri nunciabile della figliolanza di Dio: chi non vi aderisce, a Dio non può avere accesso. La donna, però, per nulla indignata, al contrario di noi, non si rassegna: anzi, conoscendo bene anche lei la mentalità dell’epoca, a cui lo stesso Gesù sembra non essere estraneo né immune, conforta il suo interlocutore, affermando: «Dici bene». Chiarisce, in questo modo, che l’amore per sua figlia è più forte del suo orgoglio; fa comprendere che la guarigione dell’amata viene prima d’ogni cosa: e chiede di essere saziata con le briciole di una misericordia implorata.
La conversione
Gesù, d’improvviso, sembra scosso come da un turbamento: la reazione inattesa della donna lo sconcerta e stende un velo di silenzio sul suo cuore incredulo, disarmato.
Il testo non ce lo dice, ma a me piace immaginare che alla risposta della donna sia seguito un silenzio che, dall’animo di Gesù, sgorga, prorompe, ad invadere l’atmosfera; soltanto ora il suo sguardo deve aver incrociato quello della donna, forse ancora sospeso a metà, tra il suolo e gli occhi di uno sconosciuto. Gesù comprende la profondità di quella fede, la sua tenacia tutta femminile e ne rimaneù vinto: sa che Dio, al contrario di quanto inizialmente credeva, non può rimanere indifferente a quel grido di madre, a quell’amore più forte dell’orgoglio. Così, lungo la strada sterrata di una città cananea, nel gesto non più trattenuto di una madre che lo inchioda d’improvviso e lo riconsegna ad un’umanità per qualche istante smarrita, Gesù si lascia convertire: ossia, lascia che la sua comprensione di Dio, che credeva piena e compiuta, si modifichi nella direzione di una più profonda misericordia. La teologia tradizionale, di norma, è restia a riconoscere la possibilità di una conversione nel figlio di Dio: si scandalizza di fronte a chi osa ventilarla anche soltanto come ipotesi. Eppure, qui, è il testo stesso a suggerirla. Una volta ancora, con gesto di madre, Dio apre a Gesù orizzonti più ampi, gli rivela profondità ignote: Gesù si lascia condurre da mano di donna, fino a riscoprire una fede diversa, disposta a rinnovarsi. Fu una straniera a sbarrare il suo cammino: e fu lei a farglielo riprendere con occhi nuovi, che gli hanno consentito di guardare a Dio in un modo sino a prima sconosciuto. Un modo più umano e intriso di tenerezza. E, per questo soltanto, a Dio più vicino.
Alessandro Esposito è pastore valdese Chiesa della metodista di Omegna, Verbania e Luino.
https://verbaniaprotestante.blogspot.com/2009/09/chiesa-evangelica-metodista-di-luino.html?m=0
http://patrimonioculturalevaldese.org/en/biografia?id=fce86190-58d8-42b3-b84a-98b9b80e3266
* Jean-Germain Drouais, Cristo e la Cananea (1874, olio su tela) - fonte foto [ritagliata] culture.gouv.fr /The Bridgeman Art Library, tratta da wikimedia commons, immagine originale e licenza
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