La religione dei parassiti
Pubblichiamo qui di seguito la riflessione di don Aldo Antonelli, prete di Antrosano (Aq), pubblicate sul numero in uscita di Rocca (n. 13, 1 luglio 2020) in merito alle facili polemiche antireligiose e sulle altrettante strumentalizzazioni della religione in occasione della epidemia da Covid19.
http://www.rocca.cittadella.org/
Su MicroMega del 27 marzo 2020 è stato pubblicato un articolo dal titolo “Pandemia: quel che resta della teologia” a firma di Michele Martelli.
L’ho letto e devo dire che, contrariamente all’interesse e agli stimoli che normalmente trovo negli articoli della rivista, questo di Michele Martelli non mi è piaciuto affatto.
Nel grande panorama nazionale e internazionale dell’attuale crisi e dei movimenti anche reazionari che l’accompagnano, che fa il Martelli?
Va in cerca con il lumicino di fatti sparuti e minimali, facili bersagli per una facile polemica in vista di una facile ragione da rivendicare. Sì! Perché cosa vuoi che siano don Gianni Sini con il suo gruppetto di neocatecumenali che si riunisce e padre Livio che dalla sua Radiospazzatura tuona fulmini? I problemi sono ben altri e lui li bypassa bellamente.
Ne rilevo soltanto due: quello della scienza e quello delle credenze popolari, nella loro espressione di religiosità più che di fede.
Quanto al primo, quando scrive che «Oggi, nel mondo secolarizzato, deposte le vecchie superstizioni religiose, prevale nettamente il metodo della ricerca e spiegazione scientifica dei fenomeni naturali, fatto di ipotesi fisico-matematiche, dimostrazioni razionali e verifiche sperimentali», l’autore dimostra di essere ancora inchiodato a un’idea di scienza ormai desueta, quella propria dello scientismo meccanicistico dell’ottocento. Con lo sviluppo della teoria dei quanti la scienza è essa stessa diventata “problematica”, nel senso che escludendo le regole del determinismo meccanicista, col principio di indeterminazione proprio delle particelle subatomiche, la scienza è essa stessa costretta volta per volta a ritornare su se stessa e a rinterrogarsi….
(Qui ci sarebbe molto da dire ma mi limito solo ad osservare, p.e., che l’epistemologia ha da tempo abbandonato la pretesa di raggiungere una verità definitiva e si rassegna a un compito molto più modesto, quello di produrre opinioni che vanno adottate fino a che non siano “falsificate” da nuove osservazioni…. Popper insegni!). Dimenticando inoltre che «la scienza moderna offre all’uomo la conoscenza ma non la coscienza. Nessuna scienza può offrire le motivazioni di un comportamento valido, morale, eroico, e perfino del sacrificio personale. Non ci si sacrifica personalmente in nome della scienza. Nessuna scienza è in grado di fondare in modo assoluto l’approfondimento e il perfezionamento dell’individuo umano» (Milan Machove?, Gesù per gli atei, pp. 43-44).
Quanto alle “credenze popolari”, andrei piano a liquidarle, non per difenderle e darle diritto di cittadinanza (che se lo prendono da sole), ma perché questo ritorno, eterno e puntuale ritorno anche nel secolo dei disincanti, del secolarismo, del materialismo, dell’efficientismo e di tutti gli ismi che si vuole, è bene che ci si interroghi. E qui a esplicitare il mio pensiero voglio citare Ernesto Balducci che già nel 1990 alla domanda «Stiamo forse assistendo al ritorno degli dèi che erano fuggiti all'irrompere della luce della scienza?», rispondeva: «Che sul piano dei fatti la crisi del vecchio paradigma scientifico si faccia valere come un ritorno a costumi mentali e pratici premoderni è impossibile negarlo. Dal punto di vista antropologico siamo alla rinascita del politeismo: riaffiorano gli archetipi che erano rimasti repressi sotto il rigore del monoteismo della Ragione. (…) La svolta in corso si inscrive in quella più generale della fine della modernità e va intesa non già come un ritorno al passato prescientifico ma come un ripensamento critico del suo paradigma che lo metta in grado di integrare in sé sia i punti di vista espulsi nella stagione del razionalismo trionfante sia, e soprattutto, la lezione di sapienza che ci viene dalle culture estranee alla modernità» (La terra del tramonto, pp. 118-119).
Si tratta di un altro tipo di approccio, di una relazione diversa con le persone, che si trovano a disagio nel ruolo di macchine (per la produzione e/o per il consumo non fa differenza) cui la società dell’accumulo e del mercato le ha ridotte.
La nostra critica, anche dura, non è alle coscienze che comunque cercano uno spiraglio per il respiro nel meccanismo frenetico e schiavizzante cui sono state ridotte, ma a coloro, clero compreso, che vi costruiscono su prassi di evasione e camere di compensazione.
A coloro, politici, che come falchi vi si tuffano dentro in cerca di consenso a fini di personale ascendenza. E a quanti, avvoltoi del profitto, ne fanno mercato.
Dopo tutto nei vangeli ci si presenta un Gesù che ha ribaltato i banchi dei mercanti nel tempio, non ha tappato la bocca degli imploranti.
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