
L’Accordo di Abramo porta nuovi equilibri in Medio Oriente. E la Palestina?
È stato siglato ieri alla Casa Bianca l’“Accordo di Abramo” (patriarca dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islam) tra Israele, Emirati arabi e Bahrein. Stretto sotto l’ala di un esultante Donald Trump, il patto normalizza i rapporti diplomatici tra i tre Stati, che non sono in guerra e, anzi, si sono molto avvicinati, negli ultimi anni, a livello economico, militare e di intelligence, per fare fronte all’Iran, nemico comune. Benjamin Netanyahu saluta «l’alba della pace, per dare speranza ai figli di Abramo. Questa pace porterà alla fine del conflitto arabo israeliano una volta per sempre». Il presidente Usa parla di «un giorno storico per la pace» e sottolinea la nascita di «un nuovo Medio Oriente» con l’accordo che presto otterrà l’adesione di altri Stati della regione, pronti a seppellire l’ascia di guerra in vista di un futuro di pace e prosperità.
«È vero», riflette il giornalista del manifesto Michele Giorgio all’indomani dell’Accordo, «sta nascendo un nuovo ordine regionale»; «più concretamente sta sorgendo un sistema regionale in cui le monarchie arabe sunnite riconoscono la superiorità economica, militare e strategica di Israele che ne diventa di fatto il difensore davanti al nemico comune, l’Iran. Israele sgraverà, in parte, Washington della responsabilità avuta per decenni di proteggere i ricchi alleati nel Golfo».
A bocca (ancora) asciutta quanti si occupano dei diritti dei palestinesi, che con questo accordo sono stati ignorati e marginalizzati ancora una volta. Se è vero che l’accordo con gli Emirati segna una battuta d’arresto al sogno di Netanyahu e Trump di annettere i territori palestinesi occupati della Cisgiordania, è vero anche che i Paesi arabi stanno progressivamente rinunciando al ripristino dei confini del 1967 per non rischiare di minare i nuovi equilibri geopolitici regionali. In ogni caso, si legge ancora su Nena News, «nella pax americana i palestinesi non contano nulla, sono un tassello che non appartiene al mosaico. Perché hanno il torto di reclamare ancora i loro diritti sanciti da una infinità di risoluzioni internazionali».
Nel mare magnum del business e della diplomazia mediorientale, la questione palestinese insomma sembra scomparire. Ma a ricordare al consesso internazionale che il popolo palestinese che non ha minimamente intenzione di arretrare sono stati i razzi lanciati da Gaza subito dopo l’accordo di Washington, seguiti in tutta risposta da un bombardamento aereo israeliano, le centinaia di persone scese in piazza in diverse città palestinesi e le numerose iniziative dei palestinesi all’estero e online per opporsi alla normalizzazione dei rapporti tra i tre Stati. «È un giorno buio», ha detto il premier palestinese Mohammed Shtayyeh. «Non ci sarà pace, sicurezza o stabilità nella regione senza la fine dell'occupazione e il raggiungimento per il popolo palestinese dei suoi pieni diritti come stabilito dalle legittime risoluzioni internazionali», ha ribadito il presidente palestinese Abu Mazen dopo la sigla dell’Accordo, che «non permetterà di raggiungere la pace finché gli Usa e l'occupazione israeliana non riconosceranno il diritto del popolo palestinese ad uno stato indipendente».
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