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Sud Sudan: missionari in prima linea contro povertà e Covid-19

Sud Sudan: missionari in prima linea contro povertà e Covid-19

JUBA-ADISTA. Gli accordi stipulati a inizio anno sembrano aver riportato la pace nel Paese dopo anni di guerra civile (v. Adista Notizie n. 9/20). Tuttavia il Sud Sudan resta uno degli Stati più poveri al mondo. Una situazione ulteriormente aggravata dalla pandemia di Covid-19, che ha colpito anche il Paese africano.

Il calo del prezzo del petrolio, la svalutazione della moneta, la necessità di importazioni, dalle quali il Paese è gravemente dipendente, sono fattori che contribuiscono a peggiorare una situazione economica disastrosa, appesantita dalle alluvioni che infuriano sul Paese dalle prime settimane di settembre. Circa il 45% della popolazione è a rischio di insicurezza alimentare. «Il numero di persone che soffrono la fame rimane pericolosamente alto, e continua ad aumentare» aveva dichiarato già diversi mesi fa il rappresentante della Fao Meshack Malo, alla vigilia di un’invasione di cavallette, che ha ulteriormente peggiorato la capacità di sussistenza agricola del Paese africano. A questo si è aggiunto il Covid-19: le misure restrittive emanate dal governo per cercare di fermare i contagi infatti hanno avuto un impatto negativo sull’economia locale, contribuendo ad alzare i prezzi dei prodotti di base ad un massimo storico.

In questa situazione, l’azione dei missionari – che contribuiscono alla distribuzione di beni di prima necessità e di dispositivi sanitari – diventa un importante sostegno per decine di migliaia di persone.

I salesiani operano nel campo profughi di Gumbo, sobborgo della capitale Juba, dal 2014 migliaia di rifugiati e profughi trovano riparo dalle violenze subite a causa della guerra. Il campo, che ad oggi conta circa 10mila persone tra donne uomini e bambini, molti dei quali orfani, offre cure mediche, istruzione, acqua e sostentamento a tutti coloro che hanno dovuto abbandonare i propri villaggi. La pandemia di Covid-19 però ha raggiunto il campo, e ad aprile si sono riscontrati i primi casi di positività al virus. I missionari hanno deciso di individuare le famiglie più vulnerabili per facilitare la distribuzione di beni di prima necessità, ai quali si aggiungono dispostivi sanitari come kit igienici per prevenire la diffusione del contagio. Importante è inoltre l’azione di informazione svolta dai religiosi della congregazione fondata da don Bosco, i quali contribuiscono a istruire i rifugiati sui protocolli di prevenzione dettati dal ministero della Salute. I protocolli prevedono come in tutti i casi il lavaggio frequente delle mani e un’attenta cura dell’igiene e del corpo, azioni tutt’altro che scontate in un paese in cui l’acqua pulita scarseggia ed è difficile distribuirla a tutta la popolazione.

Accanto ai salesiani, anche i gesuiti del Jesuit Refugee Service (Jrs) contribuiscono da anni ad alleviare le sofferenze della popolazione. Nella area desertica del Maban, il Jrs opera tra le tendopoli e i campi di rifugiati che ospitano circa 140mila persone. La pandemia ora in atto ha portato alcuni di questi gesuiti, come p. Matthew Ippel, a formare una piccola comunità composta da diversi volontari con l’obiettivo di combattere la diffusione del virus, attraverso informazione e la sensibilizzazione sul Covid-19. «Mi sono sentito chiamato ad essere fisicamente presente, per continuare a compiere il mandato umanitario ed evangelico della mia missione» risponde padre Ippel quando spiega il motivo che lo porta a rimanere nel Maban.

Anche la Comunità di Sant’Egidio opera nell’area. Con la collaborazione del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, l’iniziativa del “Ponte aereo Umanitario” dell’Unione Europea permette di portare nel Paese africano beni di prima necessità, ai quali si aggiungono gel igienizzanti e mascherine. Gli aiuti sistematicamente vengono poi distribuiti dal Consiglio Ecumenico delle Chiese del Sud Sudan.

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