
Ken Saro-Wiwa: a 25 anni dall'omicidio, il ricordo del poeta nigeriano che ha sfidato le multinazionali
Poeta, drammaturgo, insegnante, politico e ambientalista, dal 1990 aveva guidato la rivolta pacifica del popolo ogoni contro le multinazionali petrolifere nella regione nigeriana meridionale del Delta del Niger. E per questo Kenule Benson Tsaro-Wiwa (più noto come Ken Saro-Wiwa) veniva impiccato dal regime del generale Sani Abacha, il 10 novembre 1995, insieme a 8 compagni, dopo un processo frettoloso e sommario per concorso in omicidio che aveva indignato l’opinione pubblica mondiale.
A 25 anni dalla sua morte sono stati in molti a ricordare la figura del grande poeta che aveva sfidato le multinazionali del greggio e, in particolare, la Shell, accusata di essere il reale “mandante” di quell’esecuzione e costretta, la quale ha preferito patteggiare e sborsare 15,5 milioni di dollari ai familiari delle vittime pur di evitare un processo per violazione dei diritti umani che le avrebbe arrecato un irreparabile danno d’immagine (v. Adista Notizie 67/09).
Così ricorda suor Teresina Caffi, sul sito delle missionarie saveriane: «Ken senti profondamente la responsabilità di risvegliare il suo popolo, di circa mezzo milione di abitanti, dal torpore con cui subiva un regime dittatoriale e, più direttamente, la devastazione del suo ambiente vitale ad opera delle multinazionali del petrolio, la Shell in particolare. Nel 1993, Ken riuscì ad organizzare una marcia pacifica di 300.000 persone a Port Harcourt, città della Nigeria meridionale, per chiedere giustizia per la gente del Delta».
La missionaria riposta parte del testo che Ken Saro-Wiwa avrebbe voluto pronunciare davanti ai giudici, se solo fosse riuscito ad arrivare a processo: «Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale».
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