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Nel Tigray in guerra nessuno può perdere: il commento di

Nel Tigray in guerra nessuno può perdere: il commento di "Africa"

A 20 giorni dall’inizio delle ostilità nella regione etiope settentrionale del Tigray (v. Adista Notizie n. 42/20), sono probabilmente migliaia i morti e decine di migliaia gli sfollati che premono sui confini con il Sudan in cerca di protezione. Ma il conflitto resta ancora avvolto da una cortina di oscurità che nasconde e confonde fatti e propaganda. I racconti del dramma si accavallano e si contraddicono.

Quel che è certo è che il giovane primo ministro etiope Abiy Ahmed ha lanciato domenica un ultimatum di tre giorni, minacciando una repressione ancora più violenta e la presa della principale città tigrina, Macallè, qualora le milizie tigrine non depongano le armi. Dal suo canto, Debretsion Gebremichael, presidente del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, ha negato che Addis Abeba fosse vicino alle porte della città e ha replicato dichiarando che la popolazione locale è disposta anche a morire per quello in cui crede.

Nessuno, in questo braccio di ferro, nessuno sembra intenzionato a fare un passo indietro, pena la scomparsa politica. E intanto si arriva lentamente allo scontro finale, nella città di Macallè. Secondo la rivista Africa dei padri bianchi, «la guerra di propaganda è come un fumo che nasconde quanto sta realmente avvenendo sul terreno ma, da quanto trapela, gli scontri sono molto intensi e hanno fatto migliaia di vittime e decine di migliaia di sfollati. È un conflitto all’ultimo sangue nel quale nessuno dei due contendenti può permettersi di perdere. I leader tigrini sanno che, se fossero sconfitti, probabilmente, verrebbero spazzati via dalla scena politica e la loro regione diventerebbe marginale negli equilibri federali. Allo stesso tempo, se il premier Abiy perdesse la battaglia, dovrebbe affrontare le pretese indipendentistiche degli altri popoli che compongono la federazione: amhara, somali, oromo, ecc.».

 

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