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Un attacco fascista e omofobo su cui riflettere

Un attacco fascista e omofobo su cui riflettere

ROMA-ADISTA. Un attacco fascista e omofobo subito giovedì 10 dicembre durante un incontro di un’associazione culturale e di promozione sociale, il Cipax (centro interconfessionale per la pace) è l’occasione per una piccola riflessione. L’incontro era sul tema: “Omofobia, transfobia e Chiese – Esperienze a confronto”. L’obiettivo era quello di mettere a confronto realtà, vissuti e percorsi di fede diversi, su di un tema, quello dell’omotransfobia, di cui si è discusso in questo periodo, seguendo l’iter della legge Zan, approvata alla camera ed in attesa di essere discussa al senato. Relatori e relatrici erano la mamma di un ragazzo gay, una donna trans, una pastora valdese ed un gesuita. Molti accessi sulla piattaforma online ma, prima che la riunione avesse inizio, è arrivato l’attacco da parte di un gruppo di persone. Canzoni fasciste e insulti indirizzati a tutti/e e ai singoli che venivano chiamati per nome, essendo i nomi, come i volti dei partecipanti, visibili sullo schermo. Chi faceva l’attacco usava nomi falsi e si guardava bene dal mostrare il proprio volto: azione condotta rigorosamente a telecamera spenta. Quanto agli insulti, senza entrare nei dettagli, erano quelli riservati alle comunità LGBT. Non è questo il luogo per discutere questioni tecniche, che si potranno affrontare in altra sede. Qui voglio raccontare quello che ho sentito e come ho vissuto quel momento. Lì per lì mi sono fatta prendere dal panico, anche per non sapere come fare a portare avanti l'incontro, che avevo contribuito ad organizzare. Ma alla fine è andata bene: l’incontro si è fatto con mezz’ora di ritardo, utilizzando un altro link, ed ha visto una grande partecipazione. Terminata la riunione, ho riletto con occhi diversi quella esperienza... Un episodio che ha fatto sperimentare, anche ai tanti eterosessuali presenti, cosa significhi essere presi a bersaglio e ricevere quel tipo di insulti, esperienza con cui le persone LGBT devono fare i conti nelle loro vite. Non era chiaro lì chi fosse omosessuale e chi no. Eravamo tutti froci. Tanti momenti forti ho condiviso con i miei amici e le mie amiche LGBT, ma mai avevo condiviso con loro gli insulti. C'era lì collegato anche Emanuele, mio figlio gay. Questa volta ero davvero con lui, dalla sua parte fino in fondo, a sentire quello che lui sente. In una condivisione piena.

Riflettendo su quanto accaduto, in un gruppo di cui faccio parte da anni, una persona inaspettatamente ha fatto coming out. Uscire allo scoperto è contagioso, da il coraggio e la forza ad altri di farlo. Per me e mio marito il contagio è venuto dal coming out di nostro figlio, e al suo si è aggiunto il nostro coming out di genitori. Per dirla con il linguaggio che abbiamo imparato ad usare con il Covid, la propagazione avviene con un fattore di contagio, Rt, maggiore di 1!

E così c’è chi ci mette la faccia e chi pensa di dimostrare la propria forza con gli insulti, ma ha bisogno di nascondersi dietro una telecamera spenta.

Peccato che i nostri ospiti inattesi, arrivati con l’obiettivo peraltro fallito di boicottare la riunione, non abbiano partecipato all’incontro. Avrebbero capito un po’ di più di sé stessi e degli altri. Perché, a differenza dell’omosessualità e della transessualità, che non sono malattie, l’omotransfobia lo è una sorta di malattia. La bella notizia è che è curabile. E la cura, sperimentata come efficace, passa attraverso la conoscenza

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