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I muri che dividono la Chiesa. Il nuovo Patriarca di Gerusalemme celebra la Giornata dela Pace

I muri che dividono la Chiesa. Il nuovo Patriarca di Gerusalemme celebra la Giornata dela Pace

«Abbiamo speso molte parole per contestare il muro di divisione che tanta sofferenza ha causato e continua a causare per tanti nostri fedeli. Ed è giusto che la Chiesa sia chiara al riguardo. Ma penso che ci si possa fermare a riflettere anche sulle barriere che a volte inconsapevolmente erigiamo al nostro interno, tra noi». Così ha iniziato l’omelia per la Giornata mondiale per la pace (1 gennaio) pronunciata dal Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, 55enne, eletto a tale carica da poco più di due mesi (24 ottobre 2020).

Il patriarca ha individuato più di un muro a dividere la Chiesa che è a Gerusalemme. Un’analisi, quella di Pizzaballa, che sembra un canovaccio programmatico. Il muro forse più critico è il clericalismo. «Non è un mistero – ha detto – che esiste una certa distanza tra il clero e i laici e non è certo questa una prerogativa della nostra Chiesa. È un tema comune un po’ a tutti. Papa Francesco ha condannato il clericalismo diverse volte. Nel nostro ambiente locale il fenomeno è comunque assai evidente. La collaborazione tra sacerdoti e laici viene spesso fraintesa e finisce per diventare: “fare semplicemente quello che vuole il sacerdote”. Ad ogni cambio di sacerdote, la vita della comunità spesso deve ricominciare da capo e prendere il modello e la misura del sacerdote di turno, quasi sempre assai diversa dal predecessore. Difficile convincere ad avere i consigli parrocchiali e saper condividere idee e iniziative. È vero che la cultura locale non aiuta ad avere un approccio condiviso alla vita ecclesiale. Ma è vero fino ad un certo punto. Ci sono parrocchie nelle quali i consigli parrocchiali funzionano egregiamente. D’altro canto è anche vero che è difficile trovare laici formati, impegnati, desiderosi di portare un contributo positivo alla comunità. Si tratta comunque di una barriera reale che ha bisogno di essere presa in considerazione».

«Un’altra barriera, piuttosto naturale e anch’essa comune a molte Chiese – ha sottolineato Pizaballa – riguarda il divario evidente tra le generazioni. Mentre nel passato le generazioni si susseguivano l’una all’altra con una certa continuità, oggi i passaggi generazionali sono più frequenti e più radicali. Da un lato abbiamo chi guarda con nostalgia al passato e rimpiange un modello di Chiesa e di comunità che oggi sembra non esserci più. Si rimpiangono i numeri di una volta, la partecipazione di una volta: quello che c’era una volta, insomma. Dimenticando però di vivere con serenità cristiana il presente. Dall’altro lato le giovani generazioni non si sentono di vivere di nostalgia e desiderano cambiare anche quello che forse non ha bisogno di essere cambiato».

«Se il divario tra sacerdoti e laici e i conflitti generazionali sono una prerogativa comune a tante Chiese, la distinzione tra “locali” e “stranieri” è tipica della nostra», ha continuato a elencare mons. Pizzaballa. «La Chiesa di Gerusalemme ha sempre avuto e sempre avrà queste due dimensioni, quella locale e quella universale (…). È la bellezza della nostra Chiesa, che raccoglie in sé diverse lingue, molti carismi religiosi, pellegrini da tutto il mondo, aperta a tante prospettive diverse, immersa in tante attività diverse. Tutti, a prescindere dalla loro provenienza, sono parte della Chiesa». E «tuttavia – ha osservato – dobbiamo riconoscere che vi è attualmente una certa distanza tra la componente locale e quella universale. Vi è la tentazione da una parte di considerare la componente universale come “ospite” e non come parte integrante della Chiesa. E dall’altra parte vi è la tendenza a considerare la componente locale come irrilevante, superata o, addirittura, in estinzione. Questo fenomeno è comune in tutte le regioni della diocesi, non solo a Gerusalemme: da Cipro a Nazareth, da Gerusalemme ad Amman, ci viene chiesto di riflettere sul significato di integrazione, comunione, partecipazione e di chiederci come declinare concretamente questi atteggiamenti nella vita della nostra Chiesa».

«Non basta comunque limitarsi a elencare i problemi», ha concluso il patriarca, conscio della vastità e profondità di essi. «Dobbiamo anche chiederci quale sia l’orientamento da assumere, quale sia la via per migliorare». E la via, secondo mons. Pizzaballa, non può che essere «partire dalla nostra relazione con Cristo e non dalle nostre necessità, porre il nostro cuore nel cuore di Cristo, leggere la nostra realtà anche ecclesiale alla luce della Parola di Dio. Non si vive senza amore e l’amore dal quale partire è l’amore di Colui che ha dato la vita per noi e per la nostra salvezza. Sarà questo il percorso che ci attende».

*La chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Foto tratta da Commons Wikimedia, immagine originale e licenza

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