
Dopo 10 anni di guerra, per la Siria "è tempo di guardare avanti"
È un quadro nero, quello dipinto da Azione Contro la Fame nel suo rapporto #Siria10: time to look ahead, pubblicato a 10 anni dall’inizio della guerra in Siria, che ha provocato grandi sofferenze, disoccupazione, inflazione e, soprattutto, fame e denutrizione: 13.4 milioni di persone, il doppio rispetto al 2011, non possono vivere senza aiuti umanitari; di questi, 9.3 milioni vivono in condizioni disperate di insicurezza alimentare. E intanto, il prezzo dei generi alimentari di prima necessità, come il riso e il pane continua ad aumentare toccando picchi del 250%. Su una popolazione di circa 18 milioni di abitanti, in 6 milioni hanno dovuto abbandonare le proprie case, mentre in 5 milioni sono emigrati all’estero. Uno scenario drammatico di miseria estrema e di dipendenza dagli aiuti esterni, un circolo vizioso che paralizza anche la possibilità di rimettere in moto semplici attività agricole per la produzione di cibo.
Molto interessante il focus sull’impatto della crisi sulle donne siriane, «decisive per il futuro del Paese», spiega l'organizzazione che opera in Siria dal 2008 con 140 professionisti. Eiman Zarrug, del team di Azione Contro la Fame in Siria, racconta che in questi 10 anni le donne «hanno perso i loro cari e i loro mezzi di sussistenza», eppure «non si arrendono. Assumono il ruolo di capofamiglia, trovano il modo di lavorare, di disporre di un reddito e, allo stesso tempo, di prendersi cura delle proprie famiglie. La conclusione della crisi avverrà solo quando saranno messe al centro dei processi partecipativi». Al momento, però, le donne siriane continuano a pagare il prezzo più alto della crisi: a fame, anemia da malnutrizione, gravidanze a rischio, ecc. si aggiungono matrimoni precoci, violenza domestica e abusi sessuali, fenomeni esacerbati nei contesti di guerra.
Secondo Azione Contro la Fame, di fronte a un panorama economico, sociale e antropologico profondamente mutato dopo 10 anni di conflitto, «è ora di promuovere soluzioni durature». Occorre dunque «finanziare – spiega l’organizzazione – programmi a medio termine per ripristinare le reti idriche, le scuole e gli ospedali e, soprattutto, di concentrarsi su soluzioni per produrre cibo, senza abbandonare gli aiuti immediati in regime di emergenza». È necessario infine, spiega Simone Garroni (direttore generale di Azione contro la Fame), «affrontare la rinascita di un Paese stremato dalla guerra, facilitando il rientro, in sicurezza, dei quasi cinque milioni di rifugiati nei Paesi vicini e degli oltre sei milioni di sfollati interni».
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