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Note a margine delle dimissioni di Zngaretti

Note a margine delle dimissioni di Zngaretti

Non mi sento spiazzata avendone viste di ogni. Però sento il bisogno di rifare individualmente il punto con il mio percorso nella sinistra.

Se infatti mi si chiede che cosa sono oggi sotto l'aspetto lavorativo, rispondo che non sono pensionata perché resto soprattutto "una politica". L'espressione non è del tutto chiara perché anche per l'orecchio femminile l'acustica conferma che solo un maschio può dirsi un politico. Dunque sono una donna e una politica, una strana che non è mai stata iscritta, perché convinta che un partito non può contenere l'universo della politica e, appunto, una donna non riesce a starci dentro, le manca l'ossigeno.

Non era previsto che la politica mi avrebbe invaso la vita. Dopo un'iniziale ambizione universitaria dirottata per mia fortuna all'insegnamento mi aprii al mondo che correva più velocemente  degli atenei. Ero della generazione che visse il Sessantotto da insegnante finalmente felice di un rivoluzione nella scuola. Era anche la generazione del Vietnam e della passione internazionalista che mi avviò a studiare i problemi internazionali e i diritti dei popoli (con il "Tribunale Russel" sull'America Latina entrai nell'orbita della Fondazione Basso dove guidai la sezione italiano della Lega per i Diritti dei Popoli). Ero "di sinistra" e studiavo i testi canonici del socialismo

Avevo una formazione cattolica, laicamente critica della vecchia dogmatica e della tradizione clericale, ben attenta alle trasformazioni volute da Giovanni XXIII e dal Concilio; ne derivò un impegno complementare a quello politico. A Bologna Dossetti aveva proposto il rinnovamento partecipativo della città nei "quartieri", realizzato dal sindaco Zangheri comunista: amici della sinistra democristiana mi proposero di entrare nel nuovo ordinamento comunale come consigliera indipendente. Nel Consiglio del Quartiere Marconi restai nel gruppo Dc solo alcuni mesi: il capogruppo democristiano era uno che, se un comunista diceva che oggi è venerdì, interveniva a dimostrare che è domenica: non ero comunista ma votavo senza pregiudizi le proposte del gruppo "Due Torri" (a Bologna dalla Liberazione Pci e Psi erano amministrativamente uniti) e alla fine, per coerenza - sempre da indipendente - mi trasferii a sinistra dove sono sempre rimasta e, per quel che ritengo personalmente "essere di sinistra", resto. Senza incompatibilità (mia) con la chiesa che non apprezzava neppure i "cattolici per il no" a sostegno del divorzio, figurarsi una "comunista". Si aggiunse la crescita dei movimenti femministi, l'impegno con le donne, gli scontri con le strutture politiche incompatibili con il pensiero della differenza. Ero sempre curiosa di capire un mondo allora difficile e ostile al rispetto dei diritti di libertà e giustizia sociale: ogni problema apriva spazi di indagine e di studio e spesso i miei interventi erano "scomodi". Le donne con cui lavoravo - i gruppi femministi e l'Udi - chiesero al partito una rappresentante indipendente in Parlamento: il Pci non ebbe problemi conoscendomi per la competenza attiva nei comitati internazionalisti e mi ritrovai, da non comunista, "candidata nelle liste de Pci": a Montecitorio entrai nel Gruppo della Sinistra Indipendente. A Roma frequentavo il Centro per la Riforma dello Stato ed entrai in contatto con la Sinistra che ancor oggi ritengo "migliore". Anche se mi sono sempre ritenuta moderata, a molti sembravo radicale.

In realtà la mia opzione per il Partito Comunista Italiano nasceva dal convincimento che sostanzialmente fosse un partito socialista, anche se pragmatico e non riformista, anche se non ignoravo il legame con il Pcus e la conventio ad excludendum che avevano impedito in Italia quell'alternanza di governo che è pratica salutare delle democrazie. Né si poteva dimenticare la piaga del nefasto lascito della scissione del 1921: con il Psi non c'era rivalità o competizione: solo deliberata incompatibilità (il Pci si astenne sullo "Statuto dei lavoratori"!). La grandezza del Pci resta la sua gente: la base però dipendeva da una burocrazia incapace di dinamismo che  non seppe - perché il vertice non volle - emancipare politicamente gli affiliati: retrospettivamente indulgeva ad una forma di populismo, che la maggioranza dei compagni traduceva in una fede quasi religiosa ai principi proclamati, destinata a cedere davanti alla dinamica del tempo. Eccezionalmente Enrico Berlinguer, divenuto segretario del Pci, si dimostrò un uomo che aveva "visione": l' "austerità" proposta precedentemente ai paesi occidentali per sostenere l'economia di quelli poveri (che non piacque neppure al suo stesso partito) era un'anticipazione di una politica economica globale necessaria anche oggi, come mostra la necessaria condivisione dei vaccini per porre fine ad una contagiosità senza frontiere. Nel 1976 impostò una campagna elettorale che mi convinse: aprì alla "cultura comunista, socialista e cattolica in una prospettiva che fu chiamata compromesso storico - espressione oggi impronunciabile perché fu ridotta a qualificare un'intesa con la Dc disponibile alla spartizione degli interessi - e che prevedeva la crescita di un elettorato di sinistra democratico e pluralista . Non molto prima di morire (mentre pronunciava un discorso che rappresenta ancora il testamento più nobile del secolo), a Montecitorio, quando accusò l'avvento della "partitocrazia" e denunciò la "questione morale", sapendo di accusare anche parte del suo partito, si sentì volare in aula l'odio di mezzo Pci. Un partito che poi nei suoi leader non trovò più la passione e il desiderio di inventarsi per il futuro, progettando quegli scostamenti di linea che portano i valori nel linguaggio della modernità e della nuova generazione. Trovò invece la mancanza di coraggio nell'affrontare i problemi veri del paese, l'abbandono del rapporto con le "masse" (anche femminili), l'indifferenza per le innovazioni che agiscono nella quotidianità senza fare cultura autentica, Trovò il disinteresse di essere "sinistra", preferendo negoziare fette di governabilità.

Dagli anni Novanta, dopo le tardive lacrime di Occhetto sulla fine dell'Urss (e del comunismo reale) la decadenza  diventò pratica suicidaria: la storia chiedeva coerenza  nel rispetto delle nobili mete annunciate nei documenti fondativi, ma insegnava anche che nessuna bacchetta magica li realizza per miracolo. Senza la crescita delle idee al posto delle ideologie esaurite, senza la relazione con i compagni che sarebbero "cittadini liberi" scivolati nell'evasione prima  della tv, poi delle nuove tecnologie, senza informazione (un delitto aver fatto fallire l' "Unità" a spese dell'ultima direttrice e dei giornalisti disoccupati), la falsa evoluzione da Pds, Ds, contrapposizione tra margherite e diessini (ereditati dall' "l'Ulivo"), fino al Pd è stata una discesa agli inferi, gradino dopo gradino in mezzo al nefasto populismo condiviso perfino con la D'Urso. Il partito screditò e distrusse uno dei suoi esponenti, Matteo Renzi, un politico non più caratteriale di Matteo Salvini, che aveva vinto alla grande le elezioni europee, che al governo approvò leggi notevoli e una riforma costituzionale ancora oggi necessaria e boicottata: finì per fondare un altro partito; l'allontanamento del "diverso" si ripeté con Calenda e una nuova formazione politica. Il Pd si associò al M5S e arrivò a votare la riduzione del numero dei parlamentari a cui aveva in precedenza dato voto negativo ben due volte. Un partito (purtroppo) senza idee, senza proposte, senza neppure il coraggio di indire il congresso è un malato grave, al cui capezzale era necessario il medico: personalmente restavo sulla breccia, a criticare spietatamente, ma anche a fare cose costruttive.

E' arrivato Letta: un giornalista definisce "un terzo è Andreatta, un terzo Andreotti, un terzo suo zio". Non mi scompongo, il problema è solo se sarà un buon cattolico o un neodemocristiano. Si è espresso contro la destra, quindi è di sinistra. A prescindere che personalmente continuo a cercare di capire e posso perfino esercitarmi  a immaginare la resistenza al governo di destra, ma ho raccontato questa storia personale perché mi è venuto di pensarne la stranezza: una persona partita da cattolica con la Democrazia Cristiana, si è sempre  impegnata per la sinistra, dopo cinquant'anni scopre che  la sinistra le propone come proprio riferimento un democristiano. Se è un cerchio che ha fatto il suo giro, una bella tragedia.....

 

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