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“Adista”, i cattolici, il Pci: un incontro con Marco Damilano

“Adista”, i cattolici, il Pci: un incontro con Marco Damilano

Tratto da: Adista Notizie n° 13 del 03/04/2021

40599 ROMA-ADISTA. Una presentazione “speciale” per un numero speciale di Adista, quello su rapporto tra cattolici e Pci a 100 anni dalla nascita del Partito Comunista. A raccontare assieme a Valerio Gigante della nostra redazione le esperienze “convergenti e parallele” (questo il titolo del fascicolo, il n. 9/2021) dell’incontro tra cattolici e comunisti c’era infatti – il 22 marzo scorso sulla piattaforma Google Meet – Marco Damilano, direttore dell’Espresso, un passato da caporedattore della rivista di Azione Cattolica Segno7, ma anche, all’inizio degli anni 2000, nel gruppo redazionale di Adista.

In apertura dell’incontro Damilano ha brevemente raccontato la sua esperienza dentro l’informazione cattolica, culminata con le sue dimissioni (cui seguirono anche quelle del direttore di Segno7, Piero Pisarra, e di tutto il gruppo redazionale) – nel 2000 – quando il completamento della normalizzazione dell’Azione Cattolica da parte del card. Camillo Ruini, rese inutile la presenza di Damilano dentro una delle tante esperienze innovative nate dentro il mondo cattolico e poi stroncate durante il ventennio ruiniano, perché ritenute troppo autonome rispetto alla linea conservatrice politicamente e restauratrice teologicamente portata avanti dal presidente della Cei, che non tollerava visioni della Chiesa e della società diverse dalla propria. Per Damilano infatti, che all’Ac non era nemmeno iscritto, il “Progetto Culturale” che il cardinale diceva di voler realizzare era nient’altro che una strategia di sistematica occupazione di potere. Che a quell’epoca era stata già quasi pienamente realizzata.

Gli anni del post concilio erano invece stati diversi. E avevano rivelato una straordinaria dinamicità e capacità del mondo cattolico di comprendere e partecipare con consapevolezza ed entusiasmo ai grandi processi di trasformazione della società italiana. Per questo molti cristiani trovarono nella sinistra, nel Psi, ma soprattutto nel Pci (oltre che a sinistra del Pci e nella galassia extra parlamentare), un interlocutore più credibile nella rappresentanza delle istanze degli oppressi e degli esclusi; e capace di elaborare e condurre un progetto di rinnovamento complessivo della società italiana.

Certo, ammette Damilano, il modo con cui il Pci si rapportò con il mondo cattolico fu spesso incapace di comprenderne i profondi fermenti che lo attraversavano. Il Pci pensava – sostiene Damilano – che i cattolici fossero organizzati in forme centralistiche e monolitiche; in modi cioè non dissimili da quello con cui il partito concepiva se stesso. Dall’altra parte, anche il progetto moroteo, il più coraggioso e avanzato che l’Italia del dopoguerra avesse mai conosciuto, portava dentro di sé una concezione sostanzialmente conservativa delle due anime della società italiana, la cattolica e la comunista. Dc e Pci si incontravano perché lo ritenevano indispensabile per far uscire l’Italia dalla sue contraddizione, ma non mettevano veramente in discussione la loro identità. Di qui la scomodità dei cattolici e dei cristiani di sinistra, che invece volevano che le due culture si confrontassero e si “contaminassero” reciprocamente. E che vivevano in modo “orizzontale” e inclusivo la propria militanza. L’esempio fatto da Damilano è quello di tanti esponenti della Sinistra Indipendente. Ma anche quello rappresentato sin dal dopoguerra da un cattolico comunista come Franco Rodano, che – al di là della rappresentazione spesso grossolana che se ne è stata fatta – fu per il direttore dell’Espresso capace di coniugare due fondamentali valori: quello della laicità, e quello della radicalità. Il primo portava Rodano a ritenere che «essere cristiani nel Pci significasse riconoscere che la città dell’uomo non coincideva con la città di Dio e che era in questo scarto che si rendeva necessaria l’azione politica, che nella città dell’uomo si fa in termini laici, perché non si può costruire il paradiso in terra e tutto ciò che riguarda la trascendenza si deve giocare su piano diverso da quello politico. La laicità così intesa, ha spiegato Damilano, è un valore che rimanda al senso del limite, caro anche alla cultura del cattolicesimo democratico. Insomma, si è dentro la storia, ma si vorrebbe superarla. E per questo si prova un desiderio di fame e sete di giustizia destinato a non essere mai saziato. Ma che ti spinge all’impegno per il riscatto degli oppressi. L’altro valore vissuto e testimoniato da Rodano è stata la radicalità, che solo in apparenza è in opposizione alla laicità. Perché – ha spiegato Damilano – se sei nella storia laicamente e sei quindi convinto di non poter realizzare pienamente i tuoi ideale, in questa lotta contro l’ingiustiza ci devi necessariamente stare in modo radicale e non tattico».

La vicenda dell’incontro tra cattolici e comunisti è stata significativa e feconda per la politica e il fermento del laicato cattolico fino al delitto Moro, che ha prodotto rapidi e profondi mutamenti involutivi, chiudendo la prima fase della nostra storia repubblicana. Nella Chiesa invece la fine della fase più creativa del post Concilio coincide con la normalizzazione avvenuta durante gli anni di Ruini alla guida della Chiesa italiana. Un processo che ha portato ad un impoverimento della cultura, della vivacità, della pluralità del mondo cattolico che paghiamo ancora adesso in termini di assenza di una opinione pubblica cattolica e di una classe dirigente fatta anche di “cattolici adulti”. In questo contesto Damilano ha avuto parole di grande apprezzamento per il ruolo svolto da Adista, dentro e fuori il mondo cattolico. «Mi sono abbonato ad Adista quando avevo 18-19 anni. Aspettavo con ansia l’arrivo dell’agenzia, che allora aveva solo il numero di “Notizie”, nella cassetta della posta. Poi ho avuto anche la possibilità di lavorarci, seppure per un breve periodo. La sede di via Acciaioli era un luogo che si frequentava non solo per ragioni legate all’informazione di Adista, ma anche per discutere e incontrare il variegato mondo di intellettuali, politici, militanti, realtà di base che gravitavano intorno alla rivista e avevano in essa un punto di riferimeno. Io appartengo a quella generazione che avvertiva come in ambito ecclesiastico Adista fosse una testata autorevole, conosciuta e temuta. E mi è capitato più volte di sentir dire, quando accadeva qualcosa di “spinoso” nell’ambito dell’istituzione ecclesiastica: “Speriamo che Adista non lo venga a sapere”».

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