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Il segno indelebile di Hans Küng sulla Chiesa e la teologia del ‘900

Il segno indelebile di Hans Küng sulla Chiesa e la teologia del ‘900

Il più grande teologo del ‘900, o uno dei più grandi, affermano tanti, in queste ore. Di Hans Küng, morto a Tubinga, il 6 aprile scorso a 93 anni, si potrebbe dire certamente questo e di più; ma le classifiche – specie se riguardano i maestri del pensiero – non hanno molto senso. Lo ha invece ricordare che Hans Küng è stato tra i pensatori cristiani che ha lasciato una traccia indelebile nella formazione e nell’azione di generazioni di persone, affascinate dal suo modo libero di guardare alla Chiesa ed alla radicalità, unita al rigore e alla profondità, delle sue riflessioni critiche. Nel post Concilio chiunque abbia riflettuto in maniera non conformista sulla Chiesa, sulla sua gerarchia, sulla sua teologia, sul suo potere, sul rapporto tra etica e religione ha citato o fatto riferimento a Hans Küng, come auctoritas che sostenesse il suo discorso. E decine di migliaia tra docenti di teologia, preti, religiose e religiosi, operatori pastorali hanno letto almeno uno dei suoi libri. Magari di nascosto, perché negli anni ’80 la sua critica corrosiva al papato in generale e a quello di Giovanni Paolo II in particolare era quasi un unicum nel mondo accademico e tra gli intellettuali di punta.

In particolare Infallibile?, un libro uscito nel 1970 nel quale metteva in discussione il dogma dell’infallibilità papale, parlando invece di “indefettibilità” della Chiesa. Il testo fece scandalo e la Congregazione per la Dottrina della Fede (da pochi anni il Sant’Uffizio aveva cambiato il suo nome) avviò un procedimento disciplinare contro di lui. Küng non accettò di ritrattare le sue tesi e nel 1979 (era appena diventato papa Karol Wojtyla, che negli anni successivi accelerò di molto i processi canonici contro gli oppositori teologici al suo pontificato e alla Chiesa gerarchica), fu condannato e gli fu revocata la missio canonica, ossia la possibilità di insegnare negli atenei ecclesiastici: «Il professor Hans Küng – si legge nel provvedimento del 15 dicembre 1979 – è venuto meno, nei suoi scritti, all’integrità della verità della fede cattolica, e pertanto non può più essere considerato teologo cattolico né può, come tale, esercitare il compito di insegnare».

Küng, che era stato tra i più brillanti e promettenti teologi della generazione del Concilio (nel ’64 assieme a Joseph Ratzinger,che prese poi una strada diversa, tra i soci fondatori della prestigiosa rivista teologica internazionale Concilium), con un compromesso che cercava di preservare una delle figure più brillanti del panorama teologico, a Küng fu concesso d’insegnare teologia ecumenica alle dirette dipendenze del senato accademico presso l’Istituto per la Ricerca Ecumenica, che Küng aveva fondato e che venne scorporato dall’università di Tubinga.

Küng continuò comunque a essere prete e a esercitare il suo diritto di critica dapprima nei confronti del pontificato di Giovanni Paolo II, poi di quello di Benedetto XVI, che era stato prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede sotto Wojtyla e ne rappresentava la continuità teologica e pastorale. Küng vedeva in questi due pontificati il tentativo – in gran parte attuato – di restaurare un modello di Chiesa preconciliare, che impedisse le riforme e rifiutasse un dialogo con visioni e culture diverse da quella cattolica romana, dentro e fuori la Chiesa. Negli anni ’90 Küng nel suo libro Progetto per un’etica mondiale lancia l’idea, attraverso la costituzione della Fondazione etica mondiale per la Ricerca, Formazione, Incontro interculturale e interreligioso, di una sintesi tra le diverse confessioni basata sulla ricerca di principi e regole comuni, a partire dalla "Regola d'oro" comune a tutte: "Non fare agli altri ciò che non vuoi che gli altri facciano a te". Non smise però di sferzare la Chiesa cattolica, come quando, nel 2000, definì la dichiarazione Dominus Iesus sull'unicità salvifica di Cristo e della Chiesa, promossa proprio Ratzinger, un misto di «megalomania e arretratezza vaticana». All’inizio del pontificato di Benedetto XVI, forse in virtù di un antico sodalizio accademico, coltivò forse la speranza che papa Ratzinger mostrasse qualche segno di maggiore apertura. A qualcuno sembrò che in tal senso potesse andare l’invito ricevuto da Küng a Castel Gandolfo il 24 settembre 2005. Invece nulla. Né Küng fece sconti al papa tedesco, specie sui silenzi e le complicità della gerarchia ecclesiastica sulla piaga della pedofilia.

Affermò invece di sentirsi più in sintonia con lo stile e il governo di papa Francesco. Ciononostante, anche sotto il pontificato di Bergoglio, non vi fu mai né un atto né un gesto pubblico che manifestasse da parte del Vaticano una volontà di riabilitazione.

Negli ultimi anni, del resto, Küng non aveva cessato di suscitare scalpore con le sue posizioni, ad esempio quella a favore del suicidio assistito. Alla sua morte, però, dal versante ecclesiastico è venuto il riconoscimento postumo della sua grandezza. La Pontificia Accademia per la Vita sul suo profilo twitter ha commentato: «Scompare davvero una grande figura nella teologia dell'ultimo secolo, le cui idee e analisi devono fare sempre riflettere la Chiesa, le Chiese, la società, la cultura». L’Osservatore Romano (7/4) ha pubblicato un'intervista al cardinal Walter Kasper che ne riconosce i meriti, specie sul fronte ecumenico e del dialogo interreligioso; il quotidiano della presidenza dei vescovi italiani Avvenire (6/4) parla di una «figura difficile ma centrale nella Chiesa nata dal Vaticano II», di cui non si può negare «la sincera ricerca della verità».

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