
"Responsum" contro la benedizione delle coppie gay: “il papa è addolorato, forse lo mitigherà”
SANTIAGO DEL CILE-ADISTA. Strana tela di Penelope quella che si ordisce nella Sede apostolica che è in Roma: chi fa, chi disfa, chi rifà… Solo che sono tanti i tessitori e le trame che si disegnano. Due esempi vogliamo qui segnalare e ruotano entrambi intorno a Juan Carlos Cruz, una delle vittime ( i “sopravvissuti”) dell’ex sacerdote abusatore seriale Fernando Karadima e tra i più indefessi nella lotta per ottenere credibilità, giustizia e onore: è stato chiamato a far parte della Commissione pontificia per la protezione dei minori, mentre proprio dalla rosa dei componenti era stato esplicitamente escluso; e ha affermato, nella lunga intervista rilasciata al quotidiano La Tercera (10 aprile), che papa Francesco potrebbe intervenire a mitigare il Responsum del 15 marzo della Congregazione per la Dottrina della Fede che vieta la benedizione alle coppie omosex.
Cominciamo dal primo esempio, che fornisce il contesto al secondo.
Il 20 marzo, racconta Cruz, ha ricevuto una telefonata: era papa Francesco che lo chiamava per comunicargli la sua nomina come membro della Commissione pontificia per la protezione dei minori. Il suo nome era già nella lista dei componenti nel 2014 su proposta dell’irlandese Marie Collins, all’epoca già membro della Commissione (dimessasi dalla stessa a marzo 2017). La nomina fallì per intervento del card. Francisco Javier Errázuriz e dell’allora arcivescovo di Santiago Ricardo Ezzati, a capo di una Chiesa, quella cilena, sulla quale il papa è dovuto intervenire direttamente, convocandone a Roma tutti i vescovi e dimettendone alcuni fra i più coinvolti nella copertura degli abusatori, in primis quel Juan Barros, allora vescovo di Osorno per ferma volontà dello stesso Francesco “male informato”, amico intimo di Karadima.
«È chiaro che il card. Errázuriz ha impedito con successo al sopravvissuto cileno Juan Carlos Cruz di parlare alla Anglophone Safeguarding Conference a Roma nel 2014 ed è intervenuto nel 2015 per impedirgli di essere considerato membro della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori quando il cardinale ha appreso che io avevo proposto il suo nome», riferiva Marie Collins nella nota del maggio 2017 intitolata “Leader della Chiesa che «proteggono i carnefici e distruggono le vittime»”. E annotava tristemente: «Qual è la punizione per questi vertici ecclesiastici, vescovi e cardinali, che hanno facilitato gli abusatori e hanno cercato di distruggere le vittime? Nel caso dei vescovi sembra che sia loro permesso di dimettersi e andarsene. Nel caso dei cardinali finora non lo sappiamo. Il cardinale Errázuriz è ancora membro del Consiglio dei Cardinali (il C9), i consiglieri del papa, ma molto probabilmente gli sarà concesso in tempo di ritirarsi in silenzio». (v. Adista Notizie, n.20/18).
Prima che i vescovi, però, il papa volle incontrare nella sua residenza a Santa Marta le vittime di Karadima, quelle che più si sono esposte perché Barros, ritenuto, in base a testimonianze, “complice” dell’abusatore, fosse allontanato dalla diocesi di Osorno: Cruz, James Hamilton e José Andrés Murillo (v. Adista Notizie, n. 17/18). È da allora che data l’amicizia fra Bergoglio e Juan Carlos Cruz. La quale spiega la telefonata e la confidenza tra i due interlocutori.
Riparare la tela?
Dunque, La Tercera chiede a Cruz un commento sul Rsponsum che proibisce la pratica delle benedizioni alle coppie gay. «È stato come una campana rotta. Cosa è successo?, mi sono chiesto. Non è il papa che conosco (…) il papa è liberale», ha detto Cruz. E «perché questi signori si sentono in diritto di discriminare in modo così offensivo persone LGBT con parole come "la Chiesa non può benedire il peccato"? (…). Vietato benedire? Non abbiamo forse visto in una foto i vescovi che benedicevano Karadima?». «Non voglio sembrare un apologeta di papa Francesco – ha aggiunto – e non voglio dire che non è responsabile, però bisogna capire la questione nel contesto del Vaticano, del fanatismo di alcuni. Lo dico perché ne ho parlato con il papa, che è molto addolorato per quello che è successo».
Il giornalista dubita di aver capito bene: «Lei ha parlato del documento della CdF con il papa dopo che è stato reso noto?», chiede. «Sì», è la risposta; «non voglio riferire alcunché di riservato, ma so che il papa è molto addolorato, anche se alla fine è lui il responsabile. Sento che in qualche modo metterà riparo a questa situazione».
Ma qual è allora la ragione per la quale alla fine quel documento ha visto la luce, insiste il giornalista, «il papa non lo ha visto?». «Non conosco i dettagli», afferma Cruz, «ma so che non lo ha firmato. Malgrado questo, il Responsum, che è responsabilità della CdF, è stato emesso lo stesso. Tutto ciò non discolpa il papa, perché è lui il responsabile di tutto. Ma il papa che io conosco non è un papa che si riferisce alla comunità LGBT in questo modo, tutto il contrario».
Che nel documento della CdF non ci sia la firma del papa è evidente. Vi si trova scritto che «il sommo pontefice Francesco, nel corso di un’udienza concessa al segretario di questa congregazione, è stato informato e ha dato il suo assenso alla pubblicazione del suddetto ‘Responsum ad dubium’, con annessa ‘Nota esplicativa’». E che non fosse così d’accordo, malgrado l’assenso concesso, è emerso quando, all’Angelus di domenica 21 marzo, ha aggiunto a braccio queste parole: «Si tratta di seminare semi di amore non con parole che volano via, ma con esempi concreti, semplici e coraggiosi, non con condanne teoriche, ma con gesti di amore. Allora il Signore, con la sua grazia, ci fa portare frutto, anche quando il terreno è arido a causa di incomprensioni, difficoltà o persecuzioni, o pretese di legalismi o moralismi clericali. Questo è terreno arido».
Che Francesco sia così addolorato per il decreto della CdF da ritenere opportuno un suo qualche tipo di intervento è notizia. Anche se riferita (ma Cruz ha sempre dimostrato di essere persona seria), e darà speranza a molti. (eletta cucuzza)
*Foto tratta da wallpaperflare.com, immagine originale e licenza
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