“Perché cambiare”. Un libro di Don Mencucci sulla riforma della Chiesa
Tratto da: Adista Notizie n° 26 del 10/07/2021
40732 ROMA-ADISTA. Il tema di fondo è sempre quello (e lo sarà ancora per diversi anni, specie sinché le Chiese, la cattolica in particolare, non rinnoveranno strutture, liturgie, impianto dogmatico e insegnamenti morali): è auspicabile una fede oltre le religioni o è più opportuno riformare le religioni in maniera che possano tornare a essere punto di riferimento delle comunità di fede? In questa seconda prospettiva si colloca la riflessione di don Vittorio Mencucci, prete della diocesi di Senigallia, teologo di frontiera assai conosciuto ai lettori di Adista. Il suo ultimo libro, Perché cambiare. Ripensare l’uguaglianza originaria dei battezzati nella comunità (il Pozzo di Giacobbe, 2021, pp. 152, 13€: il libro può essere richiesto anche ad Adista, tel. 06/6868692; email: abbonamenti@adista.it), presenta una serie di questioni centrali nel dibattito contemporaneo intorno alla Chiesa e alle religioni, sulla scia di riflessioni che attraversano tanta parte del dibattito contemporaneo (basti citare, per tutti, il recente testo di John Shelby Spong, Perché il cattolicesimo deve cambiare o morire).
Per Mencucci, la maggior parte dei cattolici impegnati pensa che basti cambiare il linguaggio in genere e qualche aspetto in particolare nella Chiesa. Non è però con un maquillage che si risolvono secolari contraddizioni che la modernità e i processi di secolarizzazione hanno ormai fatto emergere. L’intervento di riforma da attuare deve allora essere radicale e profondo per essere credibile; e per dare risposte ai tanti credenti che abbandonano la pratica religiosa. Il problema è scegliere in quale prospettiva attuare questa necessaria riforma. Per Mencucci, ogni tentativo che voglia essere rigoroso presuppone la conoscenza della storia della situazione originaria della Chiesa e dei processi storici che ne hanno modificato ruolo, struttura, messaggio. Mencucci utilizza un doppio approccio: quello della ricostruzione storica delle ragioni che hanno portato la Chiesa all’attuale struttura; e quella della riflessione teologica che tenta di recuperare il senso evangelico perduto o mistificato nelle contraddizioni del connubio trono-altare dalla Chiesa costantiniana in poi. «Se l’acqua è inquinata, bisogna risalire alla sorgente e verificare i vari passaggi, è inutile disperdersi tra le giuncaglie della valle. Se manca la conoscenza del percorso, l’analisi non va oltre la punta del naso e il discorso diventa insignificante. Nei progetti di cambiamento della Chiesa a me pare che manchi sia il riferimento alla realtà originaria, sia la consapevolezza del tempo che stiamo vivendo», scrive Mencucci nella presentazione del libro.
Snodo fondamentale della riflessione è il processo di clericalizzazione dell’istituzione ecclesiastica e di sacralizzazione della figura del presbitero, l’anziano della comunità, presto divenuto “sacerdote”, esclusivo rappresentante del divino e suo tramite presso i fedeli. L’articolata ricostruzione storica risale alle prime comunità cristiane, quando «il battesimo abilitava a svolgere tutte le mansioni della comunità», raccontando il passaggio cruciale avvenuto nel III secolo d.C., quando «“sacro, sacerdote e sacrificio” formano un nucleo unitario che diventa il punto di vista interpretativo di tutto il messaggio evangelico e fondamento di tutto lo sviluppo teologico successivo». Da quel momento, «le varie facoltà vengono unificate nella stessa persona che diventa autorità, mentre la comunità dei fedeli perde progressivamente ogni ruolo, fino ad essere relegata solo al silenzio e all’obbedienza»; da quel momento, «la sintesi sacerdote-sacrificio-sacro costituisce la precomprensione secondo cui ogni aspetto del cristianesimo viene espresso».
Mencucci richiama allora l’esigenza di tornare al senso profondo del messaggio di Gesù, «il grande liberatore dall’oppressione religiosa». Nessuno, infatti, «chiede che si torni indietro nella storia, ma che si prenda coscienza della dimensione storica delle attuali strutture per liberarle dalla mummificazione sacrale e restituire alla comunità di fede la libertà di esprimersi secondo il linguaggio del proprio tempo e il proprio stile di vita». In questo senso, per Mencucci la modernità non è affatto un ostacolo per una Chiesa che recuperi il suo senso evangelico. Semmai una risorsa: Perché «le radici della modernità nella conquista della democrazia e nell’affermazione dei diritti umani si trovano proprio nel vangelo, anche se storicamente chi ha lottato per la conquista di questi diritti ha visto la Chiesa schierata dalla parte opposta della barricata». Per questo, «sento di vivere la mia esperienza di fede nella fedeltà al Vangelo e nella solidarietà con il mio tempo».
Quindi, per Mencucci, non si risolve il problema tentando semplicemente di ripristinare l’originario, ma di comprendere quanto dell’originale è essenziale e recuperabile. Un tentativo rivoluzionario, se si considera, spiega l’autore, che la Chiesa non è mai cambiata confrontandosi con il Vangelo, ma sempre perché costretta dalla forza dei suoi avversari. E sempre in ritardo.
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