
Stop alla messa preconciliare: Francesco salda i conti col fondamentalismo cattolico
La decisione di papa Francesco di revocare la liberalizzazione della messa in latino preconciliare abrogando il motu proprio di Benedetto XVI ‘Summorum pontifcum’, chiude un intero ciclo politico e definisce la rotta del futuro per la malridotta barca di Pietro, anche oltre l’orizzonte dell’attuale pontificato. Ci sarà modo per tornare sulla portata della decisione di Francesco, qui basterà accennare appena alcuni fatti. Da un punto di vista meramente simbolico si può dire che dietro le falangi estremiste pronte a dare l’assalto al Congresso di Washington nel dicembre scorso, aleggiava fra gli altri anche il fantasma di ‘Summorum pontificum’ e del mondo fondamentalista e apocalittico cristiano che lo aveva accolto e al quale Ratzinger aveva teso la mano della riconciliazione. Benedetto XVI ha infatti perseguito, nei primi anni del suo pontificato, un sogno restauratore, un disegno ideologico che certo è andato in frantumi ma ha prodotto danni enormi. E’ opportuno ripercorre alcuni passaggi di quel percorso. Nel settembre del 2005 il papa tedesco incontrò il Superiore della Fraternità di San Pio X, mons. Bernad Fellay nel palazzo apostolico di Castelgandofo per avviare il cammino di riconciliazione con i lefebvriani; nel dicembre dello stesso anno tenne il celebre discorso alla Curia nel quale smontò la portata innovatrice del Concilio Vaticano II, collocandolo in una prospettiva più tranquillizzante e addomesticata in cui ogni interpretazione delle intuizioni e delle strade aperte dall’assise conciliare veniva soffocata sul nascere (la disputa sulla ‘lettera’ dei testi contrapposta alle prospettive che quegli stessi documenti aprivano). Benedetto XVI provava a fermare il tempo. Nel 2007 arrivava la liberalizzazione della messa in latino preconciliare preceduta, nel 2006, dal celebre discorso di Ratisbona che cadeva come un ordigno esplosivo sul dialogo fra cristianesimo e mondo islamico.
Il documento ‘Summorum pontificum’ venne subito visto con allarme dagli episcopati europei che avvertirono la Santa Sede dei rischi cui si andava incontro: il provvedimento era infatti gradito e accolto con favore da gruppi estremisti, spesso legati a movimenti di estrema destra, venati di antisemitismo, contrari a ogni idea di fratellanza e dialogo, ai principi democratici, di cui la Fraternità di San Pio X era solo la punta dell’iceberg. Era un fondamentalismo alimentato da vecchie mitologie e complottismi antiebraici, dalle paure per la modernità, e dalla speculare visione del mondo prodotta dalle frange minoritarie ma efferate del fondamentalismo islamico. Forse Benedetto XVI non era consapevole di tutto questo? Forse; forse il suo sogno di restaurazione cristiana era più moderato e puntava a un tradizionalismo soft, più malleabile e pronto a un dialogo formale con tutti per riaffermare la propria identità. Ma certo se così stavano le cose, l’abbaglio fu clamoroso. Nel 2009, infatti, si arrivò a quello che resta, anche oltre Vatileaks, il punto più critico del pontificato ratzingeriano. Nel gennaio di quell’anno, la Santa Sede porta a compimento l’intero processo revisionista rimuovendo la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani ordinati irregolarmente a suo tempo (1988) da mons. Marcel Lefebvre. La mossa che doveva chiudere il cerchio, si rivelò un gigantesco passo falso.
A ridosso della promulgazione del decreto di remissione della scomunica venne diffusa un’intervista a uno dei quattro - l’inglese Richard Williamson – che faceva affermazioni sconvolgenti e spalancava l’abisso su tutta una serie di altre affermazioni del monsignore. Wllliamson descriveva la Shoah come una montatura le stesse camere a gas sarebbero state un’invenzione, sosteneva la veridicità di uno dei testi classici dell’antisemitismo, cioè quei “Protocolli dei savi di Sion” nel quale si descriveva un complotto ebraico per il dominio del mondo. Secondo Williamson, inoltre, l’11 settembre sarebbe stato pianificato dagli stessi Stati Uniti e il celebre terrorista solitario americano Unabomber era da considerarsi un criminale ma conservava una dose di cattolicità in quel suo odio per la tecnologia. Queste solo alcune delle perle. Ma restava soprattutto la volontà dei 4 vescovi e di tutta la comunità lefebvriani di non riconoscere la validità del Concilio Vaticano II, neanche nella forma edulcorata messa insieme da Ratzinger. Inutile dire che la parziale riabilitazione dei lefebvriani naufragò fra le contestazioni dei governi di mezzo mondo (compresa la Cancelliera Angela Merkel) e furiose richieste di ritrattazione da parte Vaticana. L’ultimo indecoroso capitolo di questa storia si ebbe nell’ottobre del 2013 in occasione dei funerali del capitano delle SS Erich Priebke, responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Nell’occasione, il Vicariato di Roma, in accordo col papa – Francesco era stato eletto pochi mesi prima - chiuse tutte le chiese della Capitale alle esequie del gerarca nazista mai pentito; si rese disponibile al rito il priorato lefebvriano di Albano, cittadina nei dintorni di Roma.
Fin qua la cronaca di eventi che hanno segnato potentemente la storia della Chiesa e quella del mondo. E’ un fatto, in ogni caso, che Francesco è stato assediato nel suo cammino – anche incerto o ambiguo - dai settori integralisti del cattolicesimo, da vescovi, cardinali, movimenti che, in Europa come in America, si riconoscevano in una visione preconciliare e guardavano alla messa tridentina come una bandiera ideologica mentre puntavano a sovvertire tutta la Chiesa uscita dal Concilio. Ora è stata tracciata una linea, c’è un prima è c’è un dopo, e il Vaticano II è un punto non d’arrivo ma di partenza, un salvagente lanciato verso li futuro.
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