
Amazon e quell'«ossessione per l’efficienza»: un'inchiesta di "Famiglia Cristiana"
Sul numero del 18 luglio, il settimanale dei paolini Famiglia Cristiana ha dedicato sette pagine ad un’approfondita inchiesta di Eugenio Arcidiacono per svelare “Cosa c’è dietro un ordine Amazon”. Durante la pandemia, il gigante della logistica è cresciuto a dismisura, spiega il periodico, «creando nuovi posti di lavoro e nuove possibilità di vendita per esercenti che si sono lanciati nell’online durante i lockdown, ma finendo anche nel mirino delle polemiche legate allo sfruttamento e all’elusione fiscale». Per rispondere a tutte le domande “etiche” sul colosso dell’ecommerce, Famiglia Cristiana è entrata nel cuore del “mostro”, precisamente nel centro di distribuzione Amazon di Torrazza Piemonte (Torino), dove le auto sono parcheggiate in retromarcia per velocizzare i tempi di manovra nei cambiturno.
I lati oscuri di Amazon si conoscono bene: i negozi tradizionali «spazzati via dalla concorrenza di Amazon», i lavoratori «precari che affermano di essere spremuti come limoni e buttati via da un giorno all’altro senza spiegazioni», e poi la questione fiscale. «Nel 2020 – spiega l’inchiesta – a fronte di 44 miliardi di euro di proventi in Europa (12 in più rispetto al 2019), grazie agli accordi con il Lussemburgo (Paese in cui ha la sua sede legale), Amazon non ha pagato nemmeno un euro di tasse». Quello che il tour nello stabilimento sembra dimostrare è un’organizzazione molto attenta alla sicurezza, un personale composto per il 45% di donne (percentuale alta per il settore, agevolata dall’impiego di robot per i lavori più usuranti), una pacifica e collaborativa sindacalizzazione con la presenza di Rsa di Cgil e di Cisl, 1.250 lavoratori a tempo indeterminato affiancati da un numero probabilmente maggiore (l’azienda non fornisce dati specifici) di lavoratori precari chiamati in base al flusso di ordinativi. Il sindacalista intervistato, Francesco Imburgia della Filt Cgil Piemonte, denuncia la grande presenza di personale precario e non garantito. «Un’evidente sproporzione che si traduce in richieste di lavorare di più che non possono essere rifiutate per paura di perdere la possibilità di un rinnovo. Se la tendenza sarà di stabilizzare il maggior numero di lavoratori ne saremo felici, ma al momento la realtà è questa». Amazon, conclude l’autore, è un’azienda «con la sua ossessione per l’efficienza. Una specie di Grande Fratello che controlla tutto. Ma sempre con gentilezza. Un Grande Fratello “friendly”, direbbero qui».
Ma l’inchiesta di Famiglia Cristiana non finisce qui: il giornalista ha letteralmente rincorso un corriere che lavora per una delle ditte cui Amazon appalta il servizio di consegna nel milanese e ne ha documentato la giornata lavorativa. «L’algoritmo di Amazon controlla ogni mio spostamento. Posso stare in strada al massimo 10 ore e in questo lasso di tempo devo completare le consegne», afferma il corriere Fabio (nome di fantasia, per tutelare l’anonimato del lavoratore). L’obiettivo per Amazon è massimizzare i tempi: anche un cliente che risponde tardi al citofono, un ufficio chiuso per la pausa pranzo, un interno di un palazzo non segnalato, un citofono rotto sono fattori che fanno perdere minuti preziosi sulla tabella di marcia, e quindi fonte di stress. «L’algoritmo non contempla questi imprevisti. Una volta ho trovato un palazzo in cui i citofoni erano rotti. Così, quando sono riuscito a entrare, sono salito fino al nono piano e poi sono sceso fino a trovare il destinatario». Per recuperare tempo prezioso ogni stratagemma è valido, spiega il giornalista: dalla bottiglietta per fare la pipì senza dover trovare un bagno alla sistemazione dei pacchi sul lato passeggero (rischioso per via dei furti ma funzionale).
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