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Lo scandalo delle armi. E la Cei perché tace?

Lo scandalo delle armi. E la Cei perché tace?

«La pandemia è ancora in pieno corso; la crisi sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri; malgrado questo – ed è scandaloso – non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari. E questo è lo scandalo di oggi»   (papa Francesco, messaggio Urbi et Orbi, Pasqua 2021).

 

Una contraddizione colossale 

Scandalo: non solo inciampo o cattivo esempio ma situazione insopportabile e indegna perché immorale e ingiusta. Negli ultimi tempi, il papa utilizza la parola scandalo (o parole simili) con tono appassionato per indicare la presenza di grandi mali da contrastare. Lo fa sia a proposito di malattie interne alla Chiesa come il clericalismo (abuso di potere, di coscienza e di sesso), sia verso crimini come la tratta delle persone, le moderne schiavitù, l’economia di scarto, la fame, sia, soprattutto, contro armi e guerre. Negli ultimi mesi il papa usa la parola scandalo per evidenziare una contraddizione colossale: da un lato il dramma della pandemia, dall’altro le spese per il riarmo crescente. In maggio, riferendosi alla Siria il papa osserva che «il grido che si leva dalla Siria è sempre presente al cuore di Dio, ma sembra non riesca a toccare quello degli uomini che hanno in mano le sorti dei popoli. Rimane lo scandalo di dieci anni di conflitto, milioni di sfollati interni ed esterni, le vittime, l’esigenza di una ricostruzione che resta ancora in ostaggio di logiche di parte e della mancanza di decisioni coraggiose» (24 giugno 2021).

 

La zizzania planetaria

Un altro monito bergogliano di questi mesi ha a che fare col finanziamento di industrie distruttive definite «zizzania planetaria». «Nello stato in cui versa l’umanità diventa scandaloso finanziare ancora industrie che non contribuiscono all’inclusione degli esclusi e alla promozione degli ultimi e che penalizzano il bene comune inquinando il creato [...]. Non è più sopportabile che si continuino a fabbricare e trafficare armi spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone, salvare vite. Non si può far finta che non si sia insinuato un circolo drammaticamente vizioso tra violenze armate, povertà e sfruttamento dissennato e indifferente dell’ambiente» (Dio e il mondo che verrà, 2021).

 

Struttura di peccato e di ingiustizia

A proposito del riarmo (più volte descritto come immorale o criminale, soprattutto quello nucleare), varie sono le brucianti espressioni bergogliane. «E’ necessario affermare che la più grande struttura del peccato, o la più grande struttura dell'ingiustizia, è la stessa industria della guerra, poiché è denaro e tempo al servizio della divisione e della morte. Il mondo perde miliardi di dollari in armamenti e violenza ogni anno, il che porrebbe fine alla povertà e all'analfabetismo se potessero essere reindirizzati" (5 febbraio 2020 alla Pontificia Accademia di Scienze sociali). E’ il «crimine» o «la tragedia della fame» a evidenziare la contraddizione più illogica e scandalosa visto che «settemila bambini sotto i cinque anni muoiono per motivi legati alla malnutrizione perché non hanno il necessario per vivere» (25 e 26 luglio 2021).

 

La grande ipocrisia 

«La guerra, che orienta le risorse all’acquisto di armi e allo sforzo militare, distogliendole dalle funzioni vitali di una società è contraria alla ragione, secondo l’insegnamento di san Giovanni XXIII (Pacem in terris, 62; 67). In altre parole, essa è una follia, perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche. È una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare [...].  E a questo io vorrei aggiungere il grave peccato di ipocrisia, quando nei convegni internazionali, nelle riunioni, tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi che sono in guerra. Questo si chiama la grande ipocrisia (Bari, 23 febbraio 2020).

 

Crimine contro l’umanità 

Queste e altre affermazioni, collocabili nel registro dello scandalo, riprendono il grido di dolore e di ripudio davanti al riarmo nucleare. Nel suo viaggio in Giappone Francesco affermava con tono solenne: «L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa” (a Hiroshima 24 novembre 2019). A Nagasaki, il papa aveva anche definito «un attentato continuo che grida al cielo» i soldi spesi e le fortune guadagnate per «fabbricare, ammodernare, mantenere e vendere le armi, sempre più distruttive».

 

Il mondo in armi 

Tutti i dati a nostra disposizione ricavati da istituti prestigiosi come il SIPRI di Stoccolma o l’Osservatorio MILex della Rete Italiana Pace e Disarmo confermano le parole del papa. Contrariamente alle previsioni più ragionevoli stiamo assistendo in piena pandemia a uno scandaloso riarmo. In estrema sintesi, riportando solo le tendenze generali, osservo che nel 2020 rispetto al 2019, le spese militari nel mondo sono cresciute del 3,9 per cento (in termini reali), nonostante il PIL sia diminuito del 3,5 per cento (nel 2021 si attende un’ulteriore crescita intorno al 3 per cento). I dati del SIPRI evidenziano come il solo bilancio militare complessivo dei paesi della NATO sia di circa 1.103 miliardi di dollari, cioè il 56% della spesa militare globale. La Cina ha aumentato il budget militare assieme a India e Russia, mentre il Regno Unito si issa al quinto posto della lista e la Germania continua i propri aumenti superando la Francia. Per il SIPRI, nel 2020 la spesa italiana è stata di 28,9 miliardi di dollari (+7,5% rispetto al 2019) ed anche le stime elaborate dall’Osservatorio MILex confermano una crescita tra il 2019 e il 2020, evidenziando già un balzo (+8,1%) anche relativamente al 2021. La spesa militare previsionale è di circa 25 miliardi (quasi due miliardi in più) con oltre 7 miliardi euro destinati all’acquisto di nuovi sistemi d’arma (cfr. «Adista» nn. 17 e 22, 2021).

 

E’ questa la rinascita?

Insomma, in questi anni dal mondo politico sono arrivati pochissimi segnali positivi (la dichiarazione di rifiutare il primo uso nucleare da parte di Biden e Putin e il blocco italiano delle forniture militari all’Arabia saudita e agli Emirati arabi, subito ridimensionato da scelte opposte). Tra i segnali negativi, ricordo in primo luogo la mancata adesione italiana al Trattato ONU per il bando delle armi nucleari. In secondo luogo, il fatto che il comparto militare riceverà almeno il 18% (quasi 27 miliardi di euro) dei "Fondi pluriennali di investimento" attivi dal 2017 al 2034. In terzo luogo, la presenza di bozze riguardanti il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che raccomandano di incrementare la capacità militare. Insomma, l' industria bellica sta mettendo le mani su una parte dei fondi europei destinati alla Next Generation Eu. E' questa la rinascita?.

 

Abbattere la legge 185 

In quarto luogo, occorre osservare che la crescita nella spesa per gli eserciti si trasmette subito al commercio di armi che vede come principale destinazione il Medio Oriente, polveriera del mondo. Qui il più grande importatore di armi è l’Arabia Saudita (subito dopo troviamo Egitto, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Israele e Turchia). Un aspetto allarmante delle ultime settimane riguarda il tentativo di annullare la legge 185 del 1990 che regola l’export italiano di armi (col divieto di vendere armi a stati dittatoriali o violatori dei diritti umani). Tutte le dichiarazioni del mondo militare-industriale o di analisti vicini a quel mondo sono incanalate in una sola direzione: abbattere la 185. Per questo motivo 33 ONG hanno denunciato «l’azione concentrica per smantellare le norme di una legge storica come la 185» con la complicità di ampi settori politici e istituzionali che dovrebbero valutare il rispetto delle norme (nazionali e internazionali) nelle esportazioni militari e il loro impatto, spesso devastante, sulle popolazioni e nelle zone di maggiore tensione del mondo.  Ne è conferma lo sforzo di ricucire i rapporti militari con l’Arabia Saudita e con gli Emirati Arabi. Oggi una nota dell’Uama, l’ufficio della Farnesina responsabile per le autorizzazioni alle esportazioni, datata 5 luglio 2021, segnala che dal 30 giugno 2021 «non è più richiesta la clausola dell’Euc rafforzato per le esportazioni verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti».

 

716 contro 15 

Insomma con il perdurare della pandemia e l’aggravarsi della crisi economica, il buon senso avrebbe dovuto spingere i singoli Stati a rovesciare le priorità di spesa. Sono davvero gli F35 a metterci al sicuro? In Italia, ad esempio, rinunciare all’acquisto di un solo caccia F35 avrebbe consentito di allestire, con i soldi risparmiati, 3.244 posti letto in terapia intensiva. Per non parlare della carenza di Canadair contro gli incendi che dobbiamo chiedere ad altri paesi (in Italia ci sono 716 aerei da combattimento e solo 15 per spegnere gli incendi, denuncia Peacelink il 2 agosto scorso). La pandemia ha reso evidente che la nostra sicurezza non è garantita dalle armi, quanto piuttosto dal potenziamento di sanità e servizi e dalla cura del creato. Lo rileva con forza il documento “Riconversione per un’economia disarmata e sostenibile”, prodotto dalla Rete Italiana Pace e Disarmo, che ha offerto 12 proposte per il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza.

 

Il ministro della guerra

Stupefacente, infine, risulta la posizione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, diventato vero e proprio ministro della guerra con la sua “Direttiva per la politica industriale della Difesa” del luglio 2021. Con buona pace delle necessità sociali aggravate dalla pandemia, delle urgenze di una civile rinascita economica, delle istanze costituzionali (e della sua fede cattolica), Guerini propone di superare l’acuirsi degli antagonismi e l’inasprirsi dei rapporti internazionali non con progetti di dialogo e di cooperazione ma con la volontà di potenziare l’industria militare come strumento strategico di geopolitica e di rilancio dell’economia nazionale. Secondo lui, assume primaria rilevanza il potenziamento della dimensione industriale della difesa e dell’export militare quale «fattore catalizzante delle cooperazioni con altri paesi e del rafforzamento del ruolo internazionale dell’Italia». Temo che tutto il governo sia d’accordo con tale impostazione. Ma la politica estera deve essere asservita all’industria militare? La Costituzione lo nega. Anzi lo «ripudia». Su questo tema la CEI ancora tace.

 

Un appello cattolico (universale) 

Nonostante tutto, qualcosa di buono si sta muovendo. E’ in corso la Campagna globale contro le spese militari (Gcoms): centinaia di organizzazioni chiedono ai Governi di spostare i fondi dalle spese militari alla sanità, al finanziamento dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile e per la cancellazione della povertà. Alcune diocesi stanno prendendo posizione sulla necessità del disarmo. A fine aprile 2021 un fatto nuovo è apparso sulla scena: l’Appello contro le armi nucleari promosso da Acli, Azione cattolica, Associazione Giovanni XXIII, Movimento Focolari e Pax Christi che ha avuto poi l’adesione di altre 40 associazioni.  Nell’appello si scrive che il 22 gennaio 2021 il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari è diventato giuridicamente vincolante per tutti i Paesi che l’hanno firmato [...]. Il nostro Paese non ha né firmato il Trattato in occasione della sua adozione da parte delle Nazioni Unite, né l’ha successivamente ratificato». Anzi sta ammodernando le basi nucleari di Ghedi e di Aviano.

 

Riconversione civile 

Nel libro Pace in terra. La fraternità è possibile  (2021), Francesco pone una serie di interrogativi: «Siamo consapevoli della sofferenza di tanti per la guerra? Siamo coscienti dei rischi per l’umanità? Cerchiamo in qualche modo di spegnere il fuoco delle guerre e di prevenirle? O siamo distratti e ripiegati sui nostri interessi? ». La coerenza oggi ci spinge in direzioni inedite. Se Cristo ci dice di rimettere la spada nel fodero, «come essere cristiani con la spada [nucleare] in pugno? Come essere cristiani fabbricando “spade” con cui altri si uccideranno? Oggi purtroppo si realizzano armamenti micidiali e sofisticati. Dare ascolto all’appassionato grido del Signore vuol dire smettere di vendere armi […]. Non esistono giustificazioni in proposito, fossero quelle dei posti di lavoro che si perderebbero con la fine del commercio delle armi».

Nei primi mesi della pandemia, precisa nel testo Dio e il mondo che verrà, «è stato bello sapere che, mentre mancavano ventilatori polmonari, alcune aziende di armi in Italia hanno cambiato la produzione, realizzando quel materiale di bene comune di cui c’era urgente necessità. E’ questa la strada: la creatività» che «può diventare un metodo politico e imprenditoriale». Si chiama riconversione civile (ed ecologica) delle spese militari. Bisogna volerla e organizzarla.

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