
Politica, governance internazionale e religioni alla prova dei cambiamenti climatici: "Aggiornamenti Sociali" dopo la Cop26
Sulla Cop26, che si è tenuta a Glasgow dal 31 ottobre al 13 novembre, si sono espressi leader politici, movimenti giovanili e organizzazioni ambientaliste con pareri di segno opposto, che gridano da un lato al miracolo e dall’altro al flop. In realtà, riflette il direttore di Aggiornamenti Sociali p. Giacomo Costa, in un editoriale sul numero di dicembre, «questa varietà di reazioni ci dice che è possibile guardare la Cop26 da una pluralità di punti di vista» e che quindi «non è quindi possibile interpretarla adottando un’unica prospettiva».
Uno dei meriti del summit, e del G20 precedente, è aver reso la crisi climatica – e le rivendicazioni della comunità scientifica – «il tema dominante del dibattito pubblico mondiale», come è stato in passato il bipolarismo Est-Ovest, poi la globalizzazione e, in tempi più recenti, la crisi delle migrazioni e quella sanitaria. Da oggi, auspica Costa, ogni questione dell’agenda internazionale «verrà affrontata cercandone le relazioni con i cambiamenti climatici».
Altro merito della Cop26 è stato quello di accertare la posizione unanime sull’aspetto antropico della crisi climatica e sulla necessità di ridurre le emissioni climalteranti: «Le resistenze – avverte però il direttore – si sono ormai spostate sul piano delle soluzioni, abbandonando quello della diagnosi», spostando dunque l’accento dal piano scientifico a quello politico. Ed è proprio «qui che sono emerse le maggiori resistenze».
In quest’ottica, Costa invita a «rileggere e affrontare il fenomeno del negazionismo come una questione primariamente politica e non cognitiva». Entra in campo per nascondere interessi economici delle lobby dei combustibili fossili, ma anche per nascondere un «malessere» di fronte a politiche interpretate come limitazione di libertà individuali, un po’ come accaduto con il rifiuto della mascherina e del vaccino per quanto riguarda il contrasto alla pandemia.
Interessante il parallelismo tra clima e Covid suggerito nell’editoriale: «Proprio come nel caso del virus, anche il negazionismo climatico assume spesso la retorica della cospirazione, ipotizzando che i problemi siano creati ad arte per giustificare un aumento dei controlli sui cittadini: non a caso dalla denuncia della “dittatura sanitaria” ci si sta spostando a quella della “tirannia verde”». Da qui l’impossibilità a «negoziare con chi si ritiene vittima di un complotto», che continuerà ad adottere comportamenti antiscientifici e dannosi per la collettività. «Sarà la costruzione di un immaginario sociale più inclusivo, in cui tutti possano sentire di trovare posto, e non la polemica a oltranza, a depotenziare il fascino di negazionismi e complottismi», suggerisce Costa.
Altro nodo sottolineato nell’articolo è quello della democrazia e della governance internazionale, messa a dura prova dalla crisi climatica, che è globale e che costringe tutti a partecipare ad un unico destino. Summit come i G20, dove pochi sembrano voler decidere per tutti, rappresentano ambiti decisionali che non funzionano più e richiedono una partecipazione più ampia. «Per affrontare questo compito di rinnovamento democratico a livello internazionale, competenze scientifiche e tecniche e abilità diplomatiche, sebbene importanti, non bastano». Occorre una rinnovata «capacità di elaborare vision e di tornare a riflettere sulla finalità delle pratiche sociali, economiche, politiche e ambientali». In tal senso, il ruolo delle religioni è cruciale: citando la Fratelli tutti di papa Francesco, Costa ricorda che «il servizio della fraternità passa anche attraverso la promozione della sostenibilità come dovere verso le generazioni future. Religioni e comunità di fede devono però continuare ad attrezzarsi per svolgere questo compito sempre meglio».
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