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«Stranieri in casa propria»: dopo 30 anni, appello a riformare la Legge sulla cittadinanza

«Stranieri in casa propria»: dopo 30 anni, appello a riformare la Legge sulla cittadinanza

Il punto della situazione sulla riforma (finora mancata) della cittadinanza in Italia è riferito in un approfondimento di Eleonora Camilli (esperta di migrazioni del Redattore Sociale), pubblicato in occasione del 30° compleanno della Legge 91, approvata il 5 febbraio 1992 ed entrata il vigore il 16 agosto dello stesso anno, che è stata ideata intorno al principio dello ius sanguinis.

Secondo la normativa, che molti hanno definito “nata già vecchia”, acquisisce la cittadinanza chi nasce o viene adottato da almeno un genitore italiano o da genitori ignoti o apolidi, chi sposa un cittadino italiano, chi (straniero) chiede di essere “naturalizzato” dopo 10 anni di permanenza continuativa sul territorio nazionale. Per i figli dei cittadini stranieri, che nascono, studiano e vivono in Italia, secondo la normativa vigente, occorre attendere il compimento del 18.mo anno di età prima di poter chiedere la cittadinanza, dopo aver dimostrato di aver vissuto ininterrottamente nel Belpaese. Chiedere non equivale spesso ad ottenere, denuncia la giornalista. Il percorso, infatti, «risulta spesso complicato: dopo la richiesta possono passare anni, tra cavilli e lungaggini burocratiche». Questo lo stato dell’arte, in un Paese ormai a livello sociale e demografico radicalmente trasformato, che conta ormai oltre un milione di minori nati e cresciuti in Italia, cittadini di fatto ma non di diritto, che reclamano da oltre 10 anni una riforma della normativa sulla cittadinanza più inclusiva.

Tre sono i disegni di legge (a firma Laura Boldrini, Matteo Orfini e Laura Polverini) ancora bloccati in Commissione Affari Costituzionali alla Camera da inizio Legislatura, spiega Camilli. Intanto, il deputato del Movimento 5 Stelle Giuseppe Brescia si dice pronto a presentare un disegno di sintesi entro la fine della Legislatura, ma allo stesso tempo esprime al Redattore Sociale tutte le sue perplessità su un buon esito del provvedimento, in una situazione di caos politico in cui tutti i partiti guardano alle prossime elezioni. In questa fase, una riforma della cittadinanza incentrata sullo ius soli o sullo ius culturae potrebbe verosimilmente incontrare il muro della propaganda elettorale delle destre e i silenzi del centro-sinistra a caccia dei voti “moderati”.

Nel 2015 la deputata Pd Marilena Fabbri è stata relatrice e autrice di una proposta di legge sullo ius soli cosiddetto “temperato”, che prevedeva la cittadinanza ai minorenni nati in Italia da genitori stranieri lungo soggiornanti oppure ai minori cresciuti e scolarizzati in Italia. Quel provvedimento è stato approvato alla Camera il 13 ottobre 2015 ma le Camere sono state sciolte prima che concludesse il suo iter in Senato. Lo ius soli, seppur temperato da una serie di requisiti piuttosto stringenti, resta indigesto alle destre, tanto che, prevede la giornalista, sarà una componente che «verrà con tutta probabilità eliminata nella formulazione della nuova proposta di legge. Ci si concentrerà solo sullo ius culturae o ius scholae, con la scuola considerata fattore di integrazione e cittadinanza».

Nell’articolo di Redattore Sociale segue infine una carrellata di commenti, diffusi in occasione dei 30 anni della Legge 91/92, di realtà della società civile – Idos, Cittadinanza Attiva, Italiani senza cittadinanza e Arci – impegnate nella battaglia per i “cittadini invisibili”. La riforma, spiega Sonny Olumati del movimento Italiani senza cittadinanza, «è un atto dovuto a più di un milione di bambini e adolescenti qui cresciuti e agli adulti che come me si sentono imprigionati e stranieri in casa propria per la miopia dei politici che votarono il testo nel 1992 e dei politici di oggi che continuano a negare la trasformazione del Paese che noi rappresentiamo nel presente e per il futuro».

Leggi l'articolo di Redattore Sociale

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