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A processo il vescovo argentino Gustavo Zanchetta per abusi sessuali su minori

A processo il vescovo argentino Gustavo Zanchetta per abusi sessuali su minori

In dirittura d’arrivo il processo contro mons. Gustavo Zanchetta, il vescovo di Orán (Argentina) accusato di aver abusato sessualmente di due seminaristi. Pare si apra il 21 febbraio, con 5 mesi di ritardo sulla data prevista (12 ottobre). È stato rimandato in attesa dei fascicoli del processo canonico del vescovo svoltosi nel 2019 presso la Congregazione per la Dottrina della Fede. Fascicoli mai arrivati, ma legittimamente previsti, in base al Rescriptum del 4 dicembre 2019 con cui papa Francesco ha stabilito che, come recita l’art. 1, «non sono coperti dal segreto pontificio le denunce, i processi e le decisioni riguardanti i delitti» anche in materia di abusi su minori. E allora, basta, si fa senza, hanno detto i giudici di Orán.

Zanchetta, dimessosi per “motivi di salute” nell’agosto del 2017, è accusato anche di non aver registrato la vendita di un'importante proprietà e di aver gestito fondi diocesani in modo discrezionale. Delle sue – per ora presunte – malefatte in Vaticano sapevano dal 2016 grazie a una denuncia inviata alla Nunziatura da cinque fra sacerdoti e vicari generali della diocesi di Orán (v. qui).

Per Zanchetta, nominato vescovo dall’“amico” Bergoglio nel 2013, è stata creata nel dicembre 2017 – 4 mesi dopo aver rassegnato le dimissioni – una carica apposita in Vaticano: “assessore” dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa). Non chiaro il ruolo nel quale è stato inquadrato, non è chiaro nemmeno quale sia stato il suo percorso lavorativo, che sarebbe terminato intorno al 10 del mese di luglio 2021, ma dal quale sarebbe stato sospeso nel gennaio 2019 in seguito all’annuncio dell’indagine canonica su di lui e poi reintegrato nel giugno 2020 . Tutto questo periodo l’avrebbe trascorso, a Roma, nel collegio  Santa Marta, gomito a gomito col papa.

Troppa vicinanza di Francesco con un personaggio discusso? Una domanda alla quale ha risposto direttamente il papa quando è stato intervistato da Valentina Alazraki per la Tv messicana (28 maggio 2019). Su di lui «c’era stata un’accusa – ricorda – e, prima di chiedergli la rinuncia, l’ho fatto venire subito qui (…) e si è difeso bene. Allora, di fronte all’evidenza e a una buona difesa, resta il dubbio, ma in dubio pro reo. Dopo la denuncia alla Nunziatura (…) l’ho fatto venire qui e gli ho chiesto la rinuncia». «L’ho mandato in Spagna a fare un test psichiatrico. Alcuni media hanno detto: “Il Papa gli ha regalato una vacanza in Spagna”. Ma è stato lì per fare un test psichiatrico, il risultato del test è stato nella norma, hanno consigliato una terapia una volta al mese. Doveva andare a Madrid e fare ogni mese una terapia di due giorni, per cui non conveniva farlo tornare in Argentina. L’ho tenuto qui». Quando poi è arrivata l’indagine preliminare, aggiunge Francesco, l’ho letta, e ho visto che era necessario fare un processo. Allora l’ho passata alla Congregazione per la Dottrina della Fede,  dove stanno facendo il processo». E si difende: «fin dal primo momento di questo caso, non sono rimasto a guardare. Ci sono casi molto lunghi, che hanno bisogno di più tempo, come questo, e (…) per un motivo o per l’altro, non avevo gli elementi necessari».

*Mons. Gustavo Zanchetta. Foto di dominio pubblico tratta da saltacomparativa.com.ar, immagine originale e licenza

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