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Nonviolenza è forza, non è pacifismo sottomesso e arrendevole

Nonviolenza è forza, non è pacifismo sottomesso e arrendevole

ROMA-ADISTA. La nonviolenza attiva e positiva, anche tra le persone colte, non è veramente conosciuta. Scrive Gilberto Squizzato che «pacifismo non è solo nonviolenza» (https://www.adista.it/articolo/67704). Egli ammira negli amici nonviolenti «la coraggiosa profezia che esercitano con la loro scelta, che vuole prefigurare un mondo depurato dalla violenza e fatto umano». Però critica aspramente (qui sintetizzo) il tono ultimativo, e talora derisorio, col quale la proposta della non-violenza viene avanzata contro chi pensa invece doveroso soccorrere gli Ucraini anche con armamenti indispensabili a impedire la loro resa incondizionata, per consentire invece una trattativa che non sia totale capitolazione.

Sono necessarie alcune distinzioni.

La forza non è violenza: la forza (fisica, morale) è un carattere della buona vita. Diventa violenza solo se usata per colpire e distruggere. La violenza non è una forza umana, perché si sottrae al rapporto umano civile e razionale, col colpire o distruggere l’altra parte in un  conflitto. La violenza compare quando manca la forza umana. Le armi omicide non sono forza ma violenza. Già la semplice minaccia «riduce l’uomo minacciato a cosa, oggetto» (Simone Weil).

E forza non si può intendere in verità come forza militare: il supporto armato all’uomo riduce la sua umanità, dimostra la sua debolezza, e l’arma trascina facilmente l’uomo a perderne il controllo. Ho visto da bambino, a nove anni, un caso atroce di lotta giusta trascinata dalle armi in violenza ingiusta. L’arma non è uno strumento di lavoro, ma una sottrazione di umanità. La forza umana è la ragione, la parola, la relazione, la composizione vitale e sociale, fino all’ «amore sociale e politico» (valore ripetuto nella Fratelli tutti). L’arma è il fallimento umano.

Conflitto non è sinonimo di guerra: è una “differenza” che arricchisce la varia realtà umana, se gestito in modo trasformativo e costruttivo, con mediazione degli interessi ideali o pratici, nel comune interesse vitale. 

La nonviolenza (Capitini insegna a scriverla in parola unica, affermativa) non è vile fuga e astensione dalla lotta giusta, non è equidistanza tra aggredito e aggressore, ma è forza vitale, è lotta con le forze umane, rifiutando strumenti di dominio e di morte. La nonviolenza non accetta di sottomettere le ragioni umane dialettiche al giudizio materiale delle armi: «La guerra è l’antitesi del diritto» ripeteva Bobbio. La guerra fa vincere chi è più violento e non chi ha diritto e ragione. Tirare a sorte sarebbe più intelligente.

La storia umana non è i fatti bruti, ma l’umanizzazione dell’umanità, l’evoluzione umanizzatrice. La vittoria in guerra sembra storia, ma non è cammino dell’umanità. Se Hitler arrivava ad avere l’atomica, la “storia” dava ragione a lui. La vittoria del 1918 fu madre del fascismo. La vittoria del 1945 ha generato il pericolo nucleare universale. La vittoria in guerra non c’entra nulla con la giustizia. La guerra non fa giustizia, non difende davvero, almeno oggi.

Pacifismo è parola ambigua e fiacca. Il pacifismo è inteso e deriso come pace negativa, assenza di conflitto e confronto, e questa pace minima pagata a qualunque costo, anche della viltà e della resa alla violenza. No! La nonviolenza non è pacifismo! Sia chiaro! Gandhi consiglierebbe la violenza piuttosto che la viltà, quando quella fosse l’unica scelta possibile contro un sopruso (l’esempio della rissa fatto da Squizzato), ma dice che l’unica cosa lecita resta la nonviolenza. Poi, uccidere tante persone nella guerra è ancora peggiore della viltà (Teoria e pratica della nonviolenza, p. 18, 22, 323)

Gandhi non voleva un gandhismo. Egli è solo un grande maestro della nonviolenza, che è umanità, cultura, politica, “antica come le montagne”, ed è nelle migliori possibilità umane. Questo umanesimo ha un ampio sviluppo e un’estesa esperienza storica, intrecciata con varie spiritualità, specialmente dal Novecento. Una storia incompleta delle lotte nonviolente recenti occupa una grande letteratura e 24 pagine nel mio blog. La statistica indica il successo delle lotte nonviolente nettamente superiore al successo delle lotte violente (P. Ackerman e A. Karatnycky: How Freedom is Won. From Civic Resistance to Durable Democracy. Freedom House, Washington, 2005. M.J. Stephan e E. Chenoweth: “Why Civil Resistance Works”, International Security, 33, 1/2008, 7-44.   La rivista è USA ed è una importante rivista di relazioni internazionali).

Realizza più umanità chi, per difendere le vittime, spara e uccide, o chi le ripara e muore? Per fare scudo al minacciato ci sono solo le armi? La rozza cultura di guerra chiama eroe chi è mandato a morire per uccidere. Ma invece è eroe più vero e più umanamente fecondo chi muore per riparare e salvare altri. E non vale denunciare come sacrificale la lotta nonviolenta! Nulla è più orribilmente sacrificale che l’uso dei soldati come pedine del gioco dei potenti, come denuncia Kant: «Assoldare uomini per uccidere o per farli uccidere è usare uomini come macchine o strumenti dello Stato, il che non può conciliarsi col diritto dell'uomo sulla propria persona e col principio categorico della morale» (articolo 3 preliminare, Progetto filosofico per la pace perpetua, 1795). Egli vede necessario lo scioglimento degli eserciti permanenti.

E quanto al porgere l’altra guancia può trattarsi di ben altro che sottomissione al violento. Nel costume del tempo, per colpire inferiori (donna, figlio, schiavo) senza sporcarsi la mano, si usa il manrovescio sulla guancia destra (Matteo 5,38). Offrire l’altra guancia, la sinistra, è privare l’oppressore della sua pretesa di superiorità: una tipica azione nonviolenta.

Vale più, nel doloroso caso attuale, armare l’ucraino aggredito che si difende, aggravando i pericoli estremi per tutti, oppure fiaccare l’aggressore aiutando i soldati russi che vorrebbero giustamente disertare, e dando voce alle opposizioni interne duramente represse in Russia?  

Una proposta nonviolenta è l’afflusso in Ucraina di molte presenze civili significative, che rappresentino l’umanità intera, la comunità dei popoli, il diritto internazionale. Vorrà l’aggressore colpire tutti, moltiplicare il suo crimine davanti al mondo? I corpi civili di pace sono la forza dell’umanità di fronte alla sedizione disumana. Un’altra proposta è mantenere le ambasciate e moltiplicarle in ogni città dell’Ucraina: il mondo sorveglia l’aggressore con la sua presenza, e sta a fianco dei minacciati. Ci guadagna la verità.

La nonviolenza forte sembra la via più lunga e incerta, ma forse la via “breve” delle armi contro le armi è una via pronta ed efficiente? La “guerra giusta” oggi non è più possibile - è stato detto con verità - perché ogni guerra oggi avvicina la catastrofe nucleare universale.  Quale è dunque veramente la via più giusta ed efficace? Non c’è più guerra giusta. Bisogna riscoprire o inventare la difesa non bellica, la vera difesa.

La politica degli stati, anche dell’Italia, ha una visione corta e cortissima sulla reale natura dei conflitti armati, e di questo conflitto della Russia contro l’Ucraina. Non valgono più le vecchie abitudini mentali e operative. Senza contare che fabbricanti e trafficanti di armi sono felici di speculare sulla mentalità politica guerriera, loro complice, a costo di sangue umano e di dolori e offese al diritto umano.

Con tutto ciò ho sofferto anch’io il dilemma angoscioso, ho patito il travaglio: è giusto e necessario aiutare con le armi gli oppressi, o con la forza umana nonviolenta? A differenza del governo, sento la seconda via più giusta e più efficace.

 

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