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La libertà d'opinione

La libertà d'opinione

 

Premetto il mantra per prevenire illazioni scorrette: siccome penso che, anche se sono due principi inscindibili, la libertà venga prima della giustizia, anche l’Ucraina ha diritto alla libertà. Ma non a costo di quella di una cittadina italiana che vede ottimi servizi in tv, presentati da commenti riferiti esclusivamente alla polarizzazione bene/male. Che sia Il Sole24ore a ricordare che la Rai è pagata dai cittadini e presta un servizio pubblico per fornire un’informazione a 360° è un segnale. Anche perché chi si occupa delle notizie e della loro divulgazione è da un pezzo preoccupato per due fenomeni culturalmente regressivi: la tradizionale disinformazione italiana delle notizie internazionali e la pericolosità mercantile dei social, limiti entrambi acutizzati dalle schematizzazioni. I social imperversano con dichiarazioni indecenti ad alimentare l’odio e il razzismo universalizzato, mentre la gente ignora che in Afganistan tutte le imprecazioni contro la durezza, soprattutto nei confronti delle donne, dei talebani sono improvvisamente scomparse mentre il silenzio incoraggia le restrizioni dei diritti umani. Un golpe in Burkina Faso sta producendo quasi un milione di profughi e la leader della Birmania democratica, Aung San Suu Kyi premio Nobel della pace, che lo scorso anno ha vinto le elezioni, subito fulminate da un golpe militare, si trova in carcere da alcuni mesi. Il notiziario internazionale ignorato potrebbe arricchirsi di molti dati sul grado di libertà e di compressione di più o meno tutti i diritti umani e di libertà. Purtroppo non è una novità.

Ma oggi risalta in maniera insopportabile. Che gli italiani siano sensibili e pronti alla solidarietà l’abbiamo visto in tante situazioni di calamità in Italia; giusto quindi farlo anche per gli stranieri. Ma non si capisce come saltino fuori case disponibili e posti di lavoro per gli ucraini e non per i nigeriani o i curdi. E’ normale che la guerra interna all’Europa sia prioritaria, ma è fondato il timore che sia più facile accogliere gente bianca come noi e che ha i figli che come scuola seguono in dad le lezioni del loro paese. Cose del genere vanno dette: è un diritto proprio perché la guerra è l’esperienza peggiore che possa capitare. Infatti è esplosa improvvisa e imprevista dalle stesse cancellerie degli stati.

Per questo bisogna dire che quando arriva “la guerra”, c’è la guerra. I nonni ancora raccontano le impressioni rimaste di quando erano bambini e in Italia c’era la guerra. Io ero sfollata in Veneto dove mio nonno era stato medico di condotta ma tornavo a Bologna perché la mamma temeva che un bombardamento al ponte sul Po ci dividesse dal babbo: uscita dalla stazione il taxi era un carro agricolo e via Indipendenza assomigliava a Mariupol. Ascoltando l’allarme in Ucraina, si svela la rimozione: la stessa guerra devasta ancora e i bimbi che vedono le mamme in lacrime che portano al sicuro i figli e salvano la famiglia, mentre i babbi vanno a combattere per la patria, introiettano i modelli dei vecchi ruoli che negli ultimi cinquant’anni avevamo cercato di eliminare nei nostri asili.

Ma la guerra è anche la più grande follia. Per fortuna l’ha detto anche Erasmo, altrimenti sarebbe la solita ingenuità femminista che chiede agli uomini di confessare che a loro piace. Nel 2022 d.C. è diventata anche idiota: c’è la guerra elettronica che accecano i siti governativi o le grandi imprese paralizzando un intero paese, ma non fa morti. Si profila già anche quella satellitare, che accieca tutti i cellulari senza farli sanguinare. Per non dire la robotica, in grado di schierare sul campo soldati robot (ma costano troppo, meglio i corpi umani) che sarebbe la dimostrazione che la guerra è demenza, nemmeno gioco infantile. Discutiamo, allora, di “questa guerra”? Sembra che non si possa: eppure io accetto che il mondo continui a subire le “grandi potenze” (è in pista la Cina) e i “poteri forti” che infiltrano tutti i poteri. Idem la Nato, un dato di realtà della mia parte del mondo, firmato da tutti i governi democratici e non messa in crisi dai pacifisti quando risultava inutile. Condivisa questa realtà, posso domandare che cosa si aspetta per ragionare pubblicamente sul porre fine al disastro certo se – la settimana prossima o tra due anni – è sempre lo stesso Putin che dovrà sedere al tavolo delle trattative? Poi le sanzioni: il povero Draghi ha posto il quesito pace o condizionatori? perché la guerra è inesorabile e se nomini la pace ti strangola con altri mezzi, che – gli storici in questi giorni te lo raccontano sempre sul Sole24ore – ti obbligano a scivolare verso le armi. Dopo il covid la guerra aumenterà la recessione: continuiamo ad alimentare gli armamenti di un paese che, se resiste bene sul campo, armato è già dal 2014? Piove poco: se l’estate sarà arida, arriverà l’autarchia alimentare? Già che reimpostiamo il modus vivendi, provvediamo alla sostenibilità: la bacchetta magica dei bonus contraddittori per la famiglia, le bollette, le imprese, anche il green? Se nemmeno il buon dio ci fa miracoli, il nucleare lo discutiamo o ci bastano le centrali francesi e slovene o magari le testate di Aviano che, se al Putin furioso gli viene un’idea sono un bersaglio non male? Intanto Draghi va a fare contratti per recuperare la dipendenza energetica in paesi della cui affidabilità democratica qualche dubbio si può avere: quando andremo anche noi d’accordo con l’Arabia Saudita, come ha fatto Israele, o con l’Iran?

Il papa viene lasciato parlare, ma è chiaro che disturba, anche se dice cose assolutamente condivisibili e prive di ideologia cattolica. Siamo alle vesti dell’imperatore e la nostra gente, abbandonata a se stessa, disimpara a votare per la democrazia e l’Europa nata per la pace.

 

 

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