Mi permetto anch’io di fornire qualche spunto sull’argomento.
Per parlare del cattolicesimo democratico attuale ritengo necessario definire due cose: che cos’è il cattolicesimo democratico e chi sono i cattolici democratici attuali.
Intendo per cattolicesimo democratico una tendenza, una cultura, una tensione ideale che si esprime in modi diversi in momenti storici diversi: così è stato per la Lega nazionale (da cui proviene il termine “democrazia cristiana”), per il Partito Popolare Italiano, per la Democrazia Cristiana, cui bisognerebbe aggiungere tanti singoli, gruppi, riviste.
Se questa idea è giusta, allora mi sembra difficile in questo momento individuare in Parlamento un gruppo, una forza, che rappresenti il cattolicesimo democratico (certamente sono presenti singole persone, per lo più in partiti e correnti diverse, ma mi sfugge una qualunque presenza collettiva).
In questo mi differenzio dal giudizio di Franco Monaco (su Settimana News, e riportato su c3dem) che sembra attendersi posizioni e battaglie (di sinistra) da un gruppo che, a mio parere, non è definibile.
Ed è inesistente non solo perché non fa gruppo, ma anche perché oggi mi sembra che manchi una cultura cattolica democratica affermata e riconosciuta a livello pubblico (non a livello del Parlamento, ma a un livello molto più importante, quello del Paese).
Esprimo qui la mia tesi sul cattolicesimo democratico: se è vero che è una tendenza che si esprime in modi differenti in situazioni storiche differenti, allora il cattolicesimo democratico di oggi va considerato come una realtà diffusa, fatta da tante singole persone e piccoli gruppi, che portano avanti questo ideale in una società molecolare.
Se la società è liquida anche il cattolicesimo democratico è liquido, se la società è articolata lo è anche il cattolicesimo democratico.
Dicendo questo mi sembra di descrivere la realtà, più che esprimere un’opinione.
Ho pubblicato in queste pagine recentemente due note, sul singolarismo e sulle liste civiche: entrambe offrono un’idea significativa su come si muove la società.
E poiché partire dalla realtà costituisce sempre un principio cardine tanto per il pensiero quanto per l’azione, il cattolicesimo democratico ha qui la sua leva, il suo ancoraggio.
Esperienze locali, immergersi nella realtà, creare collegamenti, vivere il sociale, studiare, elaborare proposte e progetti: insomma partire da questa situazione molto viva, non per unificare tutto subito, ma per far incontrare esperienze ed energie, senza preoccupazione di risultati a breve.
Questo processo, trattandosi di cattolici, coinvolge e interessa anche la Chiesa.
Questo mi sembra un punto dolente – non basta certo un papa e tanto meno un cardinale per cambiare la chiesa: quella italiana è piuttosto ferma e mi sembra piuttosto ripiegata su sé stessa (almeno nelle parrocchie), limitata ai suoi compiti essenziali (Messa, sacramenti, dottrina), trascurando la passione per il mondo.
Ho letto casualmente, sulla Rete dei Viandanti, la relazione sul Sinodo di Brescia, città tradizionalmente industriale: a un certo momento appare una frase lapidaria di una sola riga “è quasi del tutto assente il contesto del lavoro”. Dice tutto.
A mio parere il cattolicesimo democratico ha bisogno di una chiesa viva, una chiesa aperta al mondo e che finalmente riconosca un ruolo “rilevante” ai laici.
La scarsa partecipazione di cui ci si lamenta molto oggi in politica, può trovare una risposta vera, se essa diventa una pratica presente in ogni dimensione della vita e per i cattolici indubbiamente anche nella chiesa.