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L'emigrante: un libro di Günther Anders

L'emigrante: un libro di Günther Anders

ROMA-ADISTA. Günther Anders, nato a Breslavia nel 1902 e morto a Vienna nel 1992, è stato – all'inizio per scelta, dal 1933 obbligato dalle leggi razziali naziste – un nomade (Francia, Stati Uniti, Austria le tappe principali). Nel 1962 ha pubblicato sulla rivista “Merkur” un saggio nel quale riflette filosoficamente sulla propria biografia e, a partire da questa, sul destino di tante altre persone ancora più sfortunate: L'emigrante (Donzelli, Roma 2022).

Già il titolo specifica che genere di nomadismo interroga l'autore: la condizione non del “migrante” né dell'  “immigrato”, ma dell' “emigrante”.  La 'e' (ex) indica moto da luogo, provenienza, distacco: l'e-migrante è colui che non riesce, per difficoltà interiori e per ostacoli oggettivi, a trovare un suo 'in', una sua nuova e definitiva condizione di stabile integrazione.

Ovviamente Anders ha in mente, prima di tutto, il destino dei suoi correligionari ebrei che – come egli stesso aveva sottolineato nel 1933 nel racconto Learsi e nel 1935 nella novella La marcia della fame – sono schiacciati, dovunque arrivino, da un'opposta, contraddittoria, istanza da parte dei nativi: assimilarsi e mantenersi diversi, “abbandonare e insieme conservare la propria estraneità” (come sintetizza nella sua articolata e documentata Postfazione Florian Grosser). In effetti, in quegli stessi anni, i tedeschi (in maggioranza, non tutti) non stavano scatenando l'  “aggressività latente” verso l'ebreo - a cui, pure,  avevano chiesto di inserirsi nella loro  tradizione culturale -  proprio “nel momento in cui questi appare troppo adattato, troppo simile a loro”?

Ma – come ogni riflessione autenticamente filosofica – anche questa di Anders non si limita al caso storico concreto e si allarga, per cerchi centrifughi, verso tante altre condizioni di e-migranti, sino a toccare la condizione antropologica in quanto tale.

Come nota Orlando Franceschelli nella sua convinta e incisiva Prefazione, il lettore odierno non può non pensare – mentre legge queste pagine di più di mezzo secolo fa – ai tanti profughi che sperimentano (quando non muoiono prima di entrare nei Paesi occidentali prescelti come meta) le sofferenze indicibili evocate da Anders: “dalla perdita dei diritti politici alla necessità di doversi arrangiare e spesso umiliare per far fronte ogni giorno alle «preoccupazioni del tutto basilari per la nuda vita», fino a quello stato di nuova pubertà e di balbuzie a cui innegabilmente si sente regredire l'emigrante che stenta a esprimersi in una lingua sconosciuta”.

Gli ebrei nella prima metà del XX secolo; africani, medio-orientali, asiatici e latino-americani dalla seconda metà del XX secolo a oggi; ma non è “un tratto fondamentale della conditio humana, che la conditio migrantis si limita a lasciar emergere con straordinaria evidenza”, quella “estraneità di fronte a sé stessi impossibile da superare del tutto” (così Grosser a p. 65) ? Si può rispondere affermativamente perché ogni essere umano ha il privilegio e la condanna  di “non-essere-vincolato a un determinato «mondo» o a un determinato «stile»” (ancora Grosser a p. 64), ma a patto di non dimenticare neppure per un momento la differenza fra chi può concedersi il lusso di trasformare la propria “contingenza” ontologica (la “casualità o non-necessità della propria origine che nessun «io» è in grado di causare o di scegliere”) in “libertà” (intesa come capacità di conferire alla “propria condizione esistenziale” “sostanza ai propri atti e nelle proprie decisioni”) (ancora Grosser a p. 65) e chi – schiacciato dalle disgrazie di ogni genere – è condannato a vivere “la condizione di semplice «eccedenza»” (o, come usa papa Francesco, di “scarto”)..

Affinché nessuna “filosofia dell'emigrazione” , per quanto utile e anzi necessaria si trasformi in cinica osservazione da postazioni sicure (sine cura), è essenziale elaborarla solo in stretta connessione con una prassi (personale e politica) di gestione compassionevole degli e-migranti da ogni dove. Gestione (dunque progettazione, determinazione di regole, efficienza operativa), ma compassionevole (dunque esattamente l'opposto di ciò che Italia ed Europa stanno realizzando appaltando, a regimi autoritari e corrotti, come i governi libico e turco, il lavoro sporco di bloccare l'esodo dei popoli in preda alle guerre, alle epidemie, alla fame e alla sete).

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