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"Verde petrolio": dossier di Nigrizia sulla transizione africana che «zoppica»

“Brutto clima per la transizione”: Sul numero di ottobre, il mensile dei comboniani Nigrizia pubblica un dossier di 16 pagine a tinte fosche sulla transizione ecologica in Africa, a poche settimane dalla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop27) in programma dal 6 al 18 novembre a Sharm el-Sheikh, in Egitto.

Tutti ci troviamo a vivere nella medesima tempesta, afferma Gianni Ballarini nell’introduzione, ma, per utilizzare una efficace immagine dell’attivista ugandese Vanessa Nakate, «seduti su barche diverse». Perché l’Africa, «sebbene responsabile di meno del 4% delle emissioni globali di CO2, è il continente che paga il prezzo più pesante per il riscaldamento globale, come dimostrano le siccità e le inondazioni di questi mesi». Più che di crisi climatica, nel caso africano, bisognerebbe allora parlare di ingiustizia climatica, o di disuguaglianza climatica. Anche nella distribuzione delle (poche) risorse volte a finanziare resilienza, adattamento e transizione ecologica.

C’è più un altro dato, altrettanto allarmante: come sta accadendo anche in Europa, a fronte della crisi energetica innescata dalla guerra russa all’Ucraina, «in molti tornano ordinatamente nella prigione delle loro convenienze: Europa e Africa stanno ricadendo sui combustibili fossili. È il caso eclatante della Repubblica Democratica del Congo, dove sono stati messi all’asta «i diritti di sfruttamento di 27 blocchi di petrolio e 3 di gas situati nella foresta pluviale e nelle torbiere del Paese», aggredendo così anche parte del Parco nazionale del Virunga, la “casa” dei gorilla di montagna, già a rischio estinzione.

E mentre i Paesi occidentali chiedono di salvare le foreste in cambio di finanziamenti, che puntualmente non arrivano o arrivano in quantità ridicole, i Paesi africani (o le loro élite politico-finanziarie) cercano di fare cassa in tutti i modi. Un’occasione che si rischia di perdere, chiarisce Gianni Silvestrini nel suo articolo sulla produzione energetica africana, perché il Continente nero dispone di un notevole potenziale verde (solare, eolico, ecc.), ma continua a puntare sugli ingenti redditi prodotti dai combustibili fossili.

Altro nodo spinoso è quello delle città, delle “Megalopoli inquinanti” come titola il contributo di Rocco Bellantone allo speciale. Città sempre più sovrappopolate (nel 2040 la popolazione urbana africana toccherà quota 1 miliardo) e sempre più alle prese con fenomeni climatici estremi (siccità, mancanza d’acqua, inondazioni, erosione costiera, ecc.).

C’è poi il nodo delle “carbon bombs” o “climate bombs” africane, affrontato da un articolo di Luca Manes di ReCommon. Si tratta di grandi progetti (425 nel mondo) di estrazione di petrolio, carbone e gas che andranno ad acuire gravemente la crisi climatica con emissioni totali previste di 646 miliardi di tonnellate di CO2.

Alberto Zoratti racconta poi una pesante contraddizione che accompagna lla transizione ecologica e che impatta sulla vita dei popoli africani, ovvero il rapporto tra nuove tecnologie e estrazione di minerali “critici”. «La green economy – spiega infatti – porterà a un aumento drammatico dell’utilizzo di minerali: +40% per il rame, +60-70% per nichel e cobalto, oltre il 90% di crescita per il litio». E, come ormai è noto dopo decenni di conflitti o violenze locali e mobilitazione della società civile internazionale contro l’estrazione indiscriminata dei cosiddetti “minerali insanguinati”, «molte di queste materie prime sono concentrate in Paesi africani».

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