
Un appello per fermare i mercanti di morte e promuovere “sicurezza” sociale
«Che senso ha continuare a buttare tanti soldi per le armi quando mancano per difenderci dai cambiamenti climatici, assicurare il diritto alla salute, investire sull’educazione dei giovani e dare un lavoro dignitoso a chi non ce l’ha?»: è una domanda lineare, che potrebbe addirittura apparire ingenua, ma resta carica di verità e rivelatrice delle grandi contraddizioni che attanagliano il Paese, quella che si pone il testo dell’appello “Cura non bombe”, promosso dal Comitato promotore della Marcia PerugiAssisi della Pace e della Fraternità.
Tra pandemia e guerra, con i loro effetti devastanti, che hanno innescato una crisi multisistemica a livello planetario, «milioni di famiglie, donne e uomini, bambini, giovani e anziani stanno subendo un continuo peggioramento delle condizioni di vita», spiega l’appello. Crescono le spese in armamenti ma «nessuno si sente più realmente al sicuro». Povertà e insicurezza crescono e procedono a braccetto, «si pretende di aumentare ancora la spesa militare» anche se viviamo in un mondo «pieno di guerre che diventano sempre più estese e allarmanti. Un mondo sull’orlo dell’apocalisse nucleare. Per questo dobbiamo cambiare».
L’appello propone di estendere il concetto di “sicurezza” per renderlo più aderente alla vita quotidiana: «La vera sicurezza di cui ci dobbiamo preoccupare è la sicurezza delle persone che non riescono ad arrivare a fine mese, che sono costrette a sopravvivere nella più totale incertezza, in ambienti malsani, senza dignità, diritti né legge, in balia della paura e della violenza, dell’illegalità, di sfruttatori, criminali e mafie».
I firmatari dell’appello chiedono investimenti e politiche non per acquistare nuove e potenti armi, ma per «aiutare chi non ce la fa, soccorrere chi è in difficoltà, proteggere chi è minacciato, nutrire chi è affamato e assetato, curare chi è ammalato, sostenere chi è fragile, ridurre le disuguaglianze, preservare i beni comuni, salvare la nostra umanità e il nostro pianeta. Per questo, dobbiamo rimettere al centro le comunità locali e finanziare e riqualificare i servizi pubblici e universali (i servizi sociali, sanitari, per l’educazione, la formazione, l'ambiente, la cultura, …)».
Occorre uscire dalla «cultura della guerra», fatta di competizione, individualismo, violenza, scarto – per entrare definitivamente in una «cultura della cura». «Solo così potremo sperare di salvarci e di mettere al sicuro anche la nostra democrazia, le istituzioni democratiche e i valori universali che sono indispensabili per affrontare le sfide planetarie che incombono», afferma l’appello.
L’appello invita a fermare guerra e militarizzazione nel mondo, che ci sta portando sull’orlo della crisi atomica. «L’invasione russa dell’Ucraina è una catastrofe. La sua continuazione è intollerabile e insostenibile. Per questo, i governanti devono fermarla. Non alimentarla. Togliamo la parola alle armi e ridiamola alla politica. Ciascuno si assuma la responsabilità di fare la pace».
Per le adesioni, cliccare qui oppure scrivere a: adesioni@perlapace.it.
Tra i primi firmatari dell'appello, segnaliamo: Comitato Promotore Marcia PerugiAssisi, Caritas Italiana, Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”, ResQ, Tavola della Pace, Rosy Bindi, Vannino Chiti, Gherardo Colombo, Paolo Corsini, Izzedin Elzir, Giuseppe Giulietti, p. Felice Scalia, Cecilia Strada, don Armando Zappolini, Il Fatto Quotidiano...
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